Città di Naro

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Cap. III: Tradizione

GASTRONOMICA: La buona tavola

Le numerose dominazioni subite come hanno lasciato monumenti e ruderi a ricordo del loro passato splendore, così hanno mescolato alla nostra anche le loro esperienze culinarie. Tanti popoli hanno segnato il passaggio della loro cultura nelle abitudini e modi di vita, facilmente riscontrabili, ancora ai nostri giorni, anche in cucina: ai greci dobbiamo una cucina semplice legata ai prodotti della terra, agli arabi la contrapposizione di sapori agrodolce e piccanti e profumi speziati nei dolci, agli spagnoli il fasto nell'elaborazione di dolci e pietanze, ai francesi una certa raffinatezza nel preparare condimenti e sughi. Così che i loro gusti e le loro pietanze, passando dalla nostra cucina, sono state "sicilianizzate", anche se i loro nomi ci ricordano le loro origini straniere: cuscusu', cubbaita, brioscia, gattò, ecc. Una cucina varia e ricca è quella di Naro, dove la tradizione del tempo passato sopravvive nella pasta di casa. In particolare, nei maccarruna filati, tipo di pasta a cannello, modellati su un ferro da calza e nei sucameli, sempre modellati su un ferro da calza, ma a cannelli molto piccoli, che vanno conditi con ragù di maiale e spolverati con la muddricata, pan grattato saltato in padella o con formaggio pecorino. Come pure nella tagliarina, pasta spianata e tagliata a striscioline, da mangiare con fave verdi e ricotta ed, altresì, nei cavatieddri, pasta plasmata, con il dito pollice, a forma di piccoli gnocchi, buoni con le minestre o al cartoccio, che bene si accompagnano al castrato arrosto, capretto al forno, cappone ripieno e tante rinomate stigliole"naritane".(a). Ma la tavola narese continua con la pasta con sugo e finucchieddri sarvaggi, pasta con fave verdi o con la ricotta oppure con sugo e cavulicieddru amaru. Varie,anche, le minestre: di maccu (preparato con favi cucivuli)(b),di cavuli, di linticchi, di fasola e di ciciri virdi. Un buon vino paesano (c) accompagna gli sfizi della tavola narese: la froscia (frittelle di fave verdi o asparagi con uova battute), la trippa, sanguinaccio, piedi di maiale o di "vaccina", il formaggio pecorino, a pasta dura o primo sale, con grani di pepe o senza, la tuma, la ricotta fresca o salata, le olive nere (passiluna), che fanno tanta coreografia a molte succulenti pietanze, le olive verdi (scacciati e cunzati con agliu, acitu e pitrusinu).E,"dulcis in fundo", il semplice e fragante pani callu cunzatu cu uogliu,sali e spiezi, quanto di più antico la tradizione culinaria narese può annoverare.

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TEATRALE: Estate Narese

Ogni anno l'Amministrazione Comunale, con il progetto Estate in città, propone, tra la metà di Luglio e la fine di Agosto, un ricco e vasto calendario di intrattenimenti culturali e ricreativi, per allietare le ferie degli emigrati, che tornano a Naro in vacanza, di chi resta in città e dei sempre più numerosi visitatori, richiamati anche dalle bellezze architettoniche e paesaggistiche di Naro.

Il programma, ogni anno sempre più vario, comprende una interessante rassegna di teatro dialettale, spettacoli musicali e di cabaret, discoteca all'aperto e varie manifestazioni sportive.

Ma il protagonista assoluto è sicuramente il teatro, dialettale e non, recitato nel suggestivo scenario della scalinata del Vecchio Duomo, meglio conosciuta come A scalunata (a).Il teatro è sempre stato protagonista indiscusso della vita culturale di Naro. Fin dal 1759 per opera del Dott. Paolo Castelli, insigne uomo di cultura, vengono rappresentate, con larga partecipazione di personaggi, scene del vecchio e nuovo testamento.

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LUDICA: i giochi di una volta

O ponti

È un giuoco prettamente maschile. Veniva fatto da ragazzi di età compresa tra i nove ed i tredici anni.
Il numero dei partecipanti variava di volta in volta.Il giuoco si svolgeva così:
Uno dei partecipanti faceva da "mastro o capo-giuoco" e si sedeva. Gli altri dopo la conta si dividevano in "cavalli" e "cavalieri". Il primo, dei cavalli, poggiava la testa sulle ginocchia del capo-giuoco, il secondo sul dorso del primo e così, di seguito, fino a fare un ponte umano.
Quindi i cavalieri, che dovevano andare sopra, saltavano e si disponevano: il primo, più agile, addosso al primo cavallo, il secondo dietro a lui con un altro salto e, così, il terzo ed il quarto e via di seguito.
Il mastro doveva accertarsi che i cavalieri saltando non toccassero terra con la punta del piede, altrimenti commettevano "fallo" ed i cavalieri, come "pena", si mutavano in cavalli.
Quando cavalli e cavalieri erano al loro posto, stavano fermi, senza muoversi, fino a quando il maestro diceva di "disfare" il ponte e si ricominciava e così di seguito.
tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva già prelevato da terra.

A pitrudda

È un giuoco, anche questo maschile, i cui partecipanti potevano essere due, quattro o, al massimo, sei ragazzi, di età compresa tra i dieci e i quattordici anni.
Il giuoco procedeva così: si posavano le monete, tutte dello stesso valore, una per ogni partecipante, una sopra l'altra e dalla parte dello stesso verso, in terra. Quindi uno dei ragazzi, cui nel fare la conta sia toccato, si inginocchiava e vi lasciava cadere sopra, dall'altezza del suo petto o anche più vicino, un sassolino.
Se, nel colpire, egli faceva buon giuoco, vinceva le monete capovolte, se no, lasciava la mano al compagno e così di seguito.

E quattru cantuneri

Questo giuoco veniva fatto sia dalle bambine che dai ragazzi, in numero di cinque e di età compresa tra gli otto e i tredici anni.
Preferibilmente si praticava all'aria aperta, in estate, in questo modo: I partecipanti si contano e chi restava per ultimo, si piantava in mezzo, gli altri quattro si mettevano ciascuno ad uno spigolo di muro e di corsa si cambiavano l'un l'altro il posto. Chi stava nel mezzo correva ad occupare uno dei quattro angoli rimasti, momentaneamente, liberi. Se quello vi riusciva, l'altro, rimasto privo del posto, andava, a sua volta, nel mezzo e, così, il giuoco proseguiva.

A petra piglia

I ragazzi, di numero variabile e seduti per terra, mettevano sul suolo delle piccole pietre (mai meno di 10), quindi se ne buttava una in aria e, nello stesso tempo e con la stessa mano, si prelevava una pietra da quelle depositate in terra, quindi si recuperava, come un giocoliere, la pietra che intanto ricadeva. E così di seguito, fin quando il giocatore non riusciva a prendere tutte le pietre da terra, in uno o più lanci. Vinceva chi riusciva a recuperare tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva già prelevato da terra.

A tavula longa

Veniva svolto da un gruppo di ragazzi (non meno di dieci). Si mettevano abbassati, un ragazzo dietro l'altro ed un pò distanti l'un l'altro. Il decimo ragazzo doveva saltare , uno per volta, al di sopra di quelli che stavano chinati. Se, durante il salto, uno dei ragazzi chinati veniva toccato, allora quello che, saltando, l'aveva toccato prendeva il suo posto e pagava anche una penitenza. Vinceva chi riusciva a saltare tutti i ragazzi che stavano chinati.
E così, di seguito, veniva a giocare chi aveva saltato senza penitenza e l'ultimo della fila.

Il Natale

Foto 82 - Presepe particolareLa magia del Natale, da qualche anno, viene vissuta a Naro con particolare fervore, con l'allestimento anche di siti caratteristici, che rendono più suggestiva l'atmosfera della notte Santa.

Viene allestito, infatti, con cura e dovizia, un singolare presepe dentro le gallerie ed all'esterno di una cava abbandonata (foto 82), esistente in località San Gaetano, alla fine della via Rotabile Agrigento ad ovest dell'abitato, ad opera di un gruppo di giovani gli amici del Presepe.

Il sito, meta anche di numerose scolaresche, non è solo una creazione artistica, ma anche un evento culturale e sociale.

Tradizioni e costumi di casa nostra messi insieme in una grande festa, che ogni anno richiamano visitatori e forestieri, anche da fuori provincia.

Festa dell'Immacolata

È una delle festività più sentite dai cittadini di Naro.Viene celebrata ogni anno l'8 dicembre con una solenne processione, con grande partecipazione di popolo, attraverso le principali vie urbane.

Viene portato in processione, infatti, il prezioso simulacro d'argento dell'Immacolata, lavorato, per incarico di P. Melchiorre Milazzo, allora guardiano del convento dei Frati Minori Conventuali di Naro, da Carlo Troisi e dal figlio Paolo, nativi dell'Isola di Malta, nella città della La Valletta, nel 1715.

La statua, alta mt. 2,10, pesante kg.240 circa, in origine aveva la testa e le mani in oro, ma dopo il furto avvenuto negli anni 70 furono rifatti con materiale meno pregiato. La sua struttura interna è composta da lastre di ferro, ricoperte esternamente da circa 100 lamine d'argento, tenuti insieme da chiodini anch'essi in argento.

Si dice che l'argento occorrente è stato ricavato dalla fusione di 12 grandi candelabri d'argento, alti mt. 1,40 ciascuno esistenti nella chiesa di San Francesco.

È antichissima tradizione, durante il periodo della sua novena, fare un pane tipico, chiamato muffuletta e mangiarlo per devozione all'Immacolata.