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Lillo
Novella - NARO, Leggenda arte tradizione
- Edizione a cura dell'Amministrazione Comunale -
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TRADIZIONE
Generalità
La Città di Naro, crocevia di popoli e di civiltà, la
cui storia è inserita profondamente nel contesto storico della
Sicilia, è un centro storico minore, ricco non solo di un pregevole
patrimonio artistico, ma anche di tradizioni popolari, le cui radici
affondano nel tessuto culturale dei suoi abitanti.
Costituisce ed ha sempre costituito, in ogni tempo, un richiamo ed
un punto di riferimento di tutto ciò che è arte e cultura.
Ogni anno, infatti, Naro è protagonista di varie e molteplici
iniziative culturali e ricreative, che La proiettano in un contesto
provinciale, regionale ed, anche, nazionale che di conseguenza determinano
un movimento turistico di varie migliaia di visitatori, richiamati
anche dal singolare patrimonio storico e monumentale, testimonianza
visiva del glorioso passato della Fulgentissima (a).
Spiritualità, tradizione religiosa e cultura popolare si intrecciano
tutt'oggi a Naro in occasione delle varie festività, con ampio
concorso della popolazione, che trova in esse elementi d'identità
e di aggregazione sociale.
Particolare grandiosità ed interesse rivestono:(Febbraio) Manifestazioni
della Primavera Narese; (Aprile) Celebrazioni della Settimana Santa
e del singolare A sguondru; (Giugno) Festa di San Calogero, Patrono
della Città; (Luglio-Agosto) Manifestazioni Estate Narese;
(Settembre) Manifestazioni e Fiera in onore dei S.S. Cosma e Damiano;
(Dicembre) Festa dell'Immacolata e Manifestazioni Natalizie.
Ed, ancora, diverse manifestazioni sportive sulla Diga San Giovanni
in diversi periodi dell'anno: Trofeo Internazionale dei Templi, Coppa
Promozionale Montù, Campionati Regionali Assoluti, etc.
Naro, pertanto, non è solo storia ed arte, ma anche tradizione
e folclore, patrimonio della memoria popolare che necessita di essere
valorizzato e propagandato e che ne fa un centro inserito nel folclore
più vivo dell'Isola e con una vocazione turistica da non sottovalutare.
a) Dichiarata
tale sin dal 1234 dall'Imperatore Federico "lo Svevo". A.
Inveges, Palermo Nob.,p.572
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FOLKLORISTICA
Primavera
Narese
La
Sagra del Mandorlo fiorito nacque, promossa dal locale dopolavoro,
come una forma di svago, per iniziativa di menti poetiche e fantasiose,
a Naro ed ivi celebrata per la prima volta il 27 febbraio 1938, con
il naturale e suggestivo scenario della Valle del Paradiso, candida
di mandorli fioriti. (cfr. Giornale di Sicilia-3 Marzo 1938-Anno XVI
del F.)(foto 71).
Da principio fu veramente una festa legata all'ambiente, cioè
una Sagra che riecheggiava il mito di Proserpina, con il ricordo dei
tempi pagani, quando si celebravano la vita, la morte e l'avvicendarsi
delle stagioni.
Sfilavano così per le vie di Naro carretti ricolmi di fiori
e belle donne in ricchi costumi, ballerini e suonatori di magarruna,
di zufoli e di quartareddi, non solo di Naro, ma pure d'Aragona, Canicattì,
Sciacca e di altri comuni della Provincia, con l'animazione, canora
e strumentale, del poliedrico Sandro Giuliana Alaimo, appassionato
cultore della Fulgentissima e dell'avv. Gero Rindone, (tenore lirico,
poeta e compositore), della Sig.na Ida Tuttolomondo, insegnante dell'Istituto
Immacolata Concezione, di Suor Gabriella Naselli, Superiora dell'Istituto,
della nobile famiglia Naselli, principi d'Aragona (10-12-1879/31-10-1969),
del Dott. Ignazio Burgio, delle sorelle Montalto (Assuntina, Rina
ed Iole) e della Sig.ra Ornella Comparato in Contino, con l'intervento
musicale della banda cittadina, diretta dal Maestro Angelo Zagra e
del premiato quartetto a plettro, composto da Curto Rosario (mandolino),
Rinaldi Angelo (Benjo), Marrix Giuseppe (violino) e Bonadonna Salvatore
(chitarra)(foto 72), con la direzione del Maestro Ettore Zambuto,
direttore tecnico provinciale dell'O.N.D. di Agrigento e tanti altri,
come mostrano le foto ingiallite dell'epoca ed i ritagli dei giornali,
che scrissero dell'evento.
Della singolare manifestazione l'Istituto Luce girò un breve
documentario, anche su interessamento del nostro benemerito concittadino
Dott. Alfonso Gaetani, conte d'Oriseo, allora Federale di Agrigento
del Partito Nazionale Fascista (foto 73).
Chi avrebbe immaginato che la Manifestazione del Mandorlo fiorito
avrebbe cambiato dopo il trasferimento ad Agrigento (foto 74/75),
per volontà politica o per fattori logistici, con il passare
degli anni il proprio aspetto di Sagra, cioè di Festa paesana,
assurgendo a festa provinciale, che ha dato alla Manifestazione un'impronta
prima nazionale e poi internazionale.
Finirono i carri, cambiò lo spirito delle festa agricola.
La Sagra divenne una sfilata di folklore internazionale, perché
si invitarono altre compagini d'oltre Alpe, dell'Europa e del mondo
per glorificare la Primavera.
Della Sagra nata a Naro, rimane solo la ferace Valle del Paradiso,
coperta da bianchi fiori di mandorli, mentre per il resto è
diventata il simbolo della pace, dell'amicizia tra i popoli.
Da diversi anni Naro, per ricordare e continuare la tradizione della
1ª Sagra celebra la fioritura del Mandorlo con il nome di PRIMAVERA
NARESE, grazie al costante interessamento degli Amministratori locali,
degli operatori comunali ed all'attiva presenza del gruppo Val Paradiso,
Città di Naro ed, ultimamente, del gruppo Fulgentissima, qualificati
interpreti del folklore della Fulgentissima Naro.
La manifestazione da un lato ripropone la Sagra paesana, caratteristica
della passata tradizione, con l'esibizione di gruppi locali nei loro
costumi tradizionali, dall'altra l'inserimento di elementi nuovi,
quali la partecipazione di gruppi popolari stranieri, che danno un'impronta
cosmopolita e meno raccolta .
Alla caratteristica ed interessante manifestazione partecipano, pertanto,
numerosi gruppi popolari stranieri, oltre a diversi gruppi locali
nei costumi tradizionali, con carri e carretti riccamente addobbati
in ricordo di un folklore che scompare.
Una simpatica e significativa tradizione della Sagra di Naro è
l'elezione di Miss Primavera Narese, con l'assegnazione del trofeo
AUREA FENICE, alla più bella ragazza partecipante alla manifestazione,
per rivivere, in questo modo, il mito di Proserpina, simbolo della
Primavera.
a) Al
Conte Gaetani si deve il riassesto della piazza Garibaldi, della via
Archeologica e della via Dante, che venne lastricata con pietra lavica.
Nel 1938 curò il restauro della chiesa di Santa Caterina e
nel 1970 si interessò del finanziamento per il restauro della
chiesa del SS. Salvatore.
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Foto
71
Foto
72 - Il quartetto a plettro
Foto
74 - Gianna Lo Coco
Miss Primavera 1951
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RELIGIOSA
La
Settimana Santa
I
riti pasquali che vanno sotto il nome di Settimana Santa, vengono
celebrati a Naro con una rappresentazione drammatica - religiosa molto
commovente e particolarmente sentita.
Tale rappresentazione ha origini molto antiche e si rifà al
Mortorio, opera drammatico - religiosa, ideata e rappresentata la
prima volta l'11.03.1807 nel convento del Carmelo, ad opera del dott.
Calogero Marchese con il titolo di Mortorio di Cristo, con molti personaggi,
come attesta Fra Saverio.
In verità, una sacra rappresentazione di scene del nuovo ed
antico testamento era già avvenuta nel 1759 per opera del dott.
Paolo Castelli, insigne medico ed esperto archeologo (1726-1800) ed,
ancora, con larga partecipazione di personaggi, la Domenica delle
Palme nell'anno 1774.
Le caratteristiche rappresentazioni venivano riprese e portate in
scena con successo negli anni 30' dai giovani della Piccola Filodrammatica
Narese, nell'ex Teatro Comunale (costruito nel 1866 ed eliminato negli
anni del dopoguerra), sito nei locali a piano terra del Palazzo Comunale,
oggi sede della Biblioteca "Feliciana" ed in tanti paesi
dell'Agrigentino.
Ancora oggi si ricordano i bravissimi attori che si sono esibiti negli
anni 30': Pietro Gueli Alletti, Giuseppe Amico, Calogero Porcello,
Giuseppe Camilleri, Gaetano Viccica, Calogero Viccica, Salvatore Morgana
e Vincenzo Patronaggio (foto 76).
Ed ora questa felice tradizione rivive e continua, per interessamento
degli attori dell'Associazione Culturale Calogero Gueli Alletti e
del Teatro Popolare Città di Naro, con il Patrocinio dell'Amministrazione
Comunale (foto 77 e 79).
Portano, infatti, in scene itineranti, con particolare grandiosità,
le sacre rappresentazioni dei riti della Settimana Santa, con inizio
la Domenica delle Palme per, poi, continuare tutta la settimana fino
al Venerdì con la Via Crucis ed a scinnenza cruci, per concludersi,
la Domenica di Pasqua, con A risuscita, quando si celebra A sguondru
(foto 78) dei simulacri della Madonna e del Cristo risorto, tra due
ali di folla plaudente ed in festa.
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Foto
76 Venerdì Santo
Foto
77 - Via Crucis
Foto
78 - A 'sguondru
Foto
79 - Via Crucis
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Festa
di San Calogero
Il 18 giugno di ogni anno, devozione e folklore danno vita ai tradizionali
festeggiamenti in onore di San Calogero, il Santo Nero, il cui culto
attrae a Naro migliaia di devoti, spinti da una fede sincera.
Molto intricata è la questione dei Calogeri in Sicilia, alcuni
la fanno risalire all'epoca bizantina (tra i secoli VII e VIII d.C.).
Calogero, infatti, in greco vuol dire bel vecchio. Il nostro Santo
è stato uno di quei vecchi venerandi che, per sfuggire alle
persecuzioni degli ariani bizantini dalle terre dell'impero d'oriente,
si trasferirono in Sicilia, dove vissero una grama vita eremitica,
venerati dalle popolazioni cristiane.
Ed essi, poiché, venuti dall'oriente, nella fantasia popolare,
più tardi furono raffigurati con la faccia nera, anche perché
la loro festa si celebrava nei mesi più caldi dell'anno. Secondo
Daniel Papebrook (1743) e gli inni di Sergio di Fragalà, monaco
vissuto nel IX secolo, il Santo di Naro sarebbe nato a Cartagine e
sia approdato in Sicilia, insieme a Gregorio e Demetrio, per sfuggire
alle persecuzioni dei Vandali d'Africa (sec.V-VI). Secondo altre fonti,
il Santo Nero nacque a Costantinopoli.
Grande è il campanilismo tra varie città siciliane,
che rivendicano il culto del Santo. Ma i devoti considerano il culto
principale quello della città di Naro, dove ogni anno converge
una fiumana di gente.
A conferma di ciò dice un ritornello popolare: "San Calò
di Naro miraculi nni fa un migliaru, San Caloiru di Girgenti miraculi
u nni fa nenti, San Caloiru di Canicattì nni fici unu e si
nni pintì".
Ma pochi hanno una concorrenza di popolo uguale a quella di Naro,
ove vi si reca da molti comuni dell'isola ed anche da fuori, per sciogliere
il voto emesso in un particolare momento fortunoso.
Molti fedeli promettono come voto il pellegrinaggio ovvero U viaggiu
a San Calò, che consiste nel salire a piedi scalzi (a'ppedi)
la ripida altura, su cui è posta la città, attraverso
la vecchia trazzera reggia, che si snoda fino alla Porta Vecchia,
l'antico ghetto ebreo di Naro.
Il culto di San Calogero, che per la sua provenienza orientale pare
che si chiamasse Aunone Narico, è databile dalla peste bubbonica
che dal 1624 al 1626 imperversò in Sicilia e che cessò
a Naro, come dice la tradizione, per un prodigio, dopo aver fatto
migliaia di vittime e cioè per la visione avuta da Suor Serafina
Maria Pulcella, terziaria francescana, della nobile famiglia dei Lucchesi
Palli, marchesi della Damsa.
Fu nel 1624, infatti, che Suor Serafina ebbe la visione del Santo,
il quale le diceva che, per sua intercessione, avrebbe avuto fine
il terribile morbo.
Il popolo di Naro, a tale rivelazione, condusse per le vie della città
il simulacro del Santo e così la pestilenza ebbe termine.
E, da quell'anno, la città di Naro scelse per suo Patrono e
protettore San Calogero, assurto così al colmo della venerazione,
dimenticando ben presto la sua antica Patrona, Santa Caterina d'Alessandria.
Si dice anche che nel 1693 Naro, sempre per intercessione del Santo,
fu preservata dal terribile terremoto dell'11 Gennaio, evento che
viene ricordato ogni anno dalla processione che i paesani chiamano
San Caloiru picciulu. La festa che cade a data fissa, il 18 giugno,
giorno in cui, si dice, di un anno imprecisato del secolo VII, sia
morto sul monte Kronio, mentre altri affermano che sia morto nel 561,
all'età di 95 anni, è una festa ciclica, diversamente
dalle altre del nostro ricco e vario folklore di Sicilia e dura esattamente
2 mesi (18 giugno Naro - 18 Agosto Racalmuto), quanti ne occorrono
a compiere i lavori agricoli nei campi: mietitura, trebbiatura ed
ammasso delle paglie per il foraggio invernale degli animali ed è,
altresì, una festa delle messi che si manifesta con il pane
lavorato in varia maniera, onde rappresentare le diverse membra del
corpo miracolato, lavorato da esperti, che producono una eccellente
perizia nel forgiare con la pasta indurita le varie parti del corpo,
curandone anche i particolari (a).
Questo pane offerto come voto dai fedeli, benedetto dai preti del
santuario, viene distribuito a tutti i fedeli che ne facciano richiesta.
Alle ore 10:00 del 18 giugno la statua del Santo, opera dello scultore
Francesco Frazzetta, di Militello (1566), ma per la prematura morte
dell'artista, completata nel capo dalla figlia, egregia allieva dell'illustre
genitore, viene esposta in adorazione dei fedeli davanti al Santuario.
Alle ore 11:00 inizia la singolare processione (foto 80).
Il maestoso simulacro del Santo, nero come il carbone, con la lunga
barba fluente pure nera, con la sinistra porta il bastone, con la
destra sorregge la cassetta delle medicine, simbolo delle guarigioni
che elargiva ed in atto di benedire tutta quella folla immensa di
gente variopinta, che si pigia, suda sotto il sole rovente di giugno,
stanca, trafelata per portare il proprio voto, sul petto sotto la
raggiera vi è scolpito la scritta In nomine Jesus, con la quale
parola soleva iniziare la sua azione taumaturgica, avvolto da un mantello
finemente arabescato, sul capo è posta una piccola aureola,
viene posto sulla vara dei miracoli, a forma di grande Straula, sotto
un baldacchino rosso, che al grido di Viva Diu e San Calò,suscitando
intensa emozione nelle migliaia di fedeli accorsi, come sempre, a
manifestargli profonda devozione e gratitudine, si muove tirato con
funi, alle quali si attaccano centinaia di fedeli di ogni ceto sociale,
d'ambo i sessi e di tutte le età, giunti da ogni parte in pellegrinaggio.
Basta osservare la gente in processione, per avvertire il profondo
senso di appartenenza che la lega a questo Santo venuto dall'Africa.
Un sentimento dalle radici profonde, rafforzatosi nel corso dei secoli
per la costante azione amorevole nei riguardi della città,
più volte minacciata da eventi catastrofici, da cui è
uscita indenne (b).
Lungo la strada la gente si affanna a strofinare i fazzoletti sul
Simulacro, perché è credenza che il Santo,dotato di
poteri taumaturgici contro le malattie del corpo e quelle dell'anima,
da cui scacciava i demoni, sudi e, quindi, i fedeli vogliono portare
a casa un talismano.
Si arriva, infine, alla Matrice Nuova, dentro la quale il Simulacro
viene portato, tolto dalla straula, con una vara, per la celebrazione
della messa di ringraziamento per i forestieri (poiché si dice
che il 18 giugno è il giorno della festa dei forestieri).
Ma la festa del 18 giugno non è solo una briosa solennità
di un giorno festivo, è il più grandioso pellegrinaggio
che abbia luogo nella zona.
Ed è, nel contempo, un'occasione di svago non solo per i naresi,
ma anche per i forestieri, che dopo aver assolto al loro dovere di
fedeli, si intrattengono a visitare la grande fiera-mercato per l'occasione
allestita ed ad acquistare oggetti di devozione, in cui è raffigurato
il Santo.
Le manifestazioni culturali, musicali e sportive, che costituiscono
il ricco programma in onore del Santo non si esauriscono il 18 giugno,
ma continuano fino al 25 (chiamata l'ottava), giorno in cui avviene
la seconda processione del Patrono per le vie cittadine, che si conclude
con una messa solenne davanti al Santuario. L'evento più atteso
delle manifestazioni è lo spettacolo di musica leggera, in
programma la sera in piazza Garibaldi, con la partecipazione di noti
cantanti, che richiamano ogni anno un vasto pubblico attento e caloroso,
proveniente anche dai paesi viciniori.
a) Sicilia
Serafica, rivista dei Frati Minori.
b) Idem
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Foto
80 - Solenne processione
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S.
S. Cosma e Damiano
I cittadini di Naro sono molto legati a questa ricorrenza, che si
celebra il 26-27 Settembre. La festa risale agli inizi del 700', al
tempo di P. Prospero Favara,guardiano del convento di Sant'Agostino.
Era caratterizzata da una solenne processione dei simulacri dei due
Santi gemelli, Cosma e Damiano, protettori dei barbieri, perché
questi anticamente esercitavano anche l'arte medica, che partiva dalla
chiesa di Sant'Agostino e da una importantissima fiera di animali
ed attrezzi agricoli.
Secondo la testimonianza di Vito Amico, la fiera dei S.S. Cosma e
Damiano, quella di San Iacopo (1622), che si teneva nel piano dei
Gesuiti (nella piazzetta antistante la Chiesa Madre) e quella di San
Calogero (dispaccio del tribunale del Real Patrimonio nell'anno 1585),
erano tra le fiere più importanti ed antiche dell'Isola.
Da qualche anno l'Amministrazione Comunale si adopera per recuperare
questa antica tradizione.
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Foto
81 - S.S. Cosma e Damiano
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Festa
dell'Immacolata
È una delle festività più sentite dai cittadini
di Naro.Viene celebrata ogni anno l'8 dicembre con una solenne processione,
con grande partecipazione di popolo, attraverso le principali vie
urbane.
Viene portato in processione, infatti, il prezioso simulacro d'argento
dell'Immacolata, lavorato, per incarico di P. Melchiorre Milazzo,
allora guardiano del convento dei Frati Minori Conventuali di Naro,
da Carlo Troisi e dal figlio Paolo, nativi dell'Isola di Malta, nella
città della La Valletta, nel 1715.
La statua, alta mt. 2,10, pesante kg.240 circa, in origine aveva la
testa e le mani in oro, ma dopo il furto avvenuto negli anni 70 furono
rifatti con materiale meno pregiato. La sua struttura interna è
composta da lastre di ferro, ricoperte esternamente da circa 100 lamine
d'argento, tenuti insieme da chiodini anch'essi in argento.
Si dice che l'argento occorrente è stato ricavato dalla fusione
di 12 grandi candelabri d'argento, alti mt. 1,40 ciascuno esistenti
nella chiesa di San Francesco.
È antichissima tradizione, durante il periodo della sua novena,
fare un pane tipico, chiamato muffuletta e mangiarlo per devozione
all'Immacolata.
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Il
Natale
La magia del Natale, da qualche anno, viene vissuta a Naro con particolare
fervore, con l'allestimento anche di siti caratteristici, che rendono
più suggestiva l'atmosfera della notte Santa.
Viene allestito, infatti, con cura e dovizia, un singolare presepe
dentro le gallerie ed all'esterno di una cava abbandonata (foto 82),
esistente in località San Gaetano, alla fine della via Rotabile
Agrigento ad ovest dell'abitato, ad opera di un gruppo di giovani
gli amici del Presepe.
Il sito, meta anche di numerose scolaresche, non è solo una
creazione artistica, ma anche un evento culturale e sociale.
Tradizioni e costumi di casa nostra messi insieme in una grande festa,
che ogni anno richiamano visitatori e forestieri, anche da fuori provincia.
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Foto
82 - Presepe particolare
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LUDICA
I GIOCHI DI UNA VOLTA
O
ponti
È
un giuoco prettamente maschile. Veniva fatto da ragazzi di età
compresa tra i nove ed i tredici anni.
Il numero dei partecipanti variava di volta in volta.Il giuoco si
svolgeva così:
Uno dei partecipanti faceva da "mastro o capo-giuoco" e
si sedeva. Gli altri dopo la conta si dividevano in "cavalli"
e "cavalieri". Il primo, dei cavalli, poggiava la testa
sulle ginocchia del capo-giuoco, il secondo sul dorso del primo e
così, di seguito, fino a fare un ponte umano.
Quindi i cavalieri, che dovevano andare sopra, saltavano e si disponevano:
il primo, più agile, addosso al primo cavallo, il secondo dietro
a lui con un altro salto e, così, il terzo ed il quarto e via
di seguito.
Il mastro doveva accertarsi che i cavalieri saltando non toccassero
terra con la punta del piede, altrimenti commettevano "fallo"
ed i cavalieri, come "pena", si mutavano in cavalli.
Quando cavalli e cavalieri erano al loro posto, stavano fermi, senza
muoversi, fino a quando il maestro diceva di "disfare" il
ponte e si ricominciava e così di seguito.
tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che
precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva
già prelevato da terra.
A pitrudda
È
un giuoco, anche questo maschile, i cui partecipanti potevano essere
due, quattro o, al massimo, sei ragazzi, di età compresa tra
i dieci e i quattordici anni.
Il giuoco procedeva così: si posavano le monete, tutte dello
stesso valore, una per ogni partecipante, una sopra l'altra e dalla
parte dello stesso verso, in terra. Quindi uno dei ragazzi, cui nel
fare la conta sia toccato, si inginocchiava e vi lasciava cadere sopra,
dall'altezza del suo petto o anche più vicino, un sassolino.
Se, nel colpire, egli faceva buon giuoco, vinceva le monete capovolte,
se no, lasciava la mano al compagno e così di seguito.
E
quattru cantuneri
Questo
giuoco veniva fatto sia dalle bambine che dai ragazzi, in numero di
cinque e di età compresa tra gli otto e i tredici anni.
Preferibilmente si praticava all'aria aperta, in estate, in questo
modo: I partecipanti si contano e chi restava per ultimo, si piantava
in mezzo, gli altri quattro si mettevano ciascuno ad uno spigolo di
muro e di corsa si cambiavano l'un l'altro il posto. Chi stava nel
mezzo correva ad occupare uno dei quattro angoli rimasti, momentaneamente,
liberi. Se quello vi riusciva, l'altro, rimasto privo del posto, andava,
a sua volta, nel mezzo e, così, il giuoco proseguiva.
A
petra piglia
I
ragazzi, di numero variabile e seduti per terra, mettevano sul suolo
delle piccole pietre (mai meno di 10), quindi se ne buttava una in
aria e, nello stesso tempo e con la stessa mano, si prelevava una
pietra da quelle depositate in terra, quindi si recuperava, come un
giocoliere, la pietra che intanto ricadeva. E così di seguito,
fin quando il giocatore non riusciva a prendere tutte le pietre da
terra, in uno o più lanci. Vinceva chi riusciva a recuperare
tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che
precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva
già prelevato da terra.
A
tavula longa
Veniva
svolto da un gruppo di ragazzi (non meno di dieci). Si mettevano abbassati,
un ragazzo dietro l'altro ed un pò distanti l'un l'altro. Il
decimo ragazzo doveva saltare , uno per volta, al di sopra di quelli
che stavano chinati. Se, durante il salto, uno dei ragazzi chinati
veniva toccato, allora quello che, saltando, l'aveva toccato prendeva
il suo posto e pagava anche una penitenza. Vinceva chi riusciva a
saltare tutti i ragazzi che stavano chinati.
E così, di seguito, veniva a giocare chi aveva saltato senza
penitenza e l'ultimo della fila.
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TEATRALE
Estate
Narese
Ogni
anno l'Amministrazione Comunale, con il progetto Estate in città,
propone, tra la metà di Luglio e la fine di Agosto, un ricco
e vasto calendario di intrattenimenti culturali e ricreativi, per
allietare le ferie degli emigrati, che tornano a Naro in vacanza,
di chi resta in città e dei sempre più numerosi visitatori,
richiamati anche dalle bellezze architettoniche e paesaggistiche di
Naro.
Il programma, ogni anno sempre più vario, comprende una interessante
rassegna di teatro dialettale, spettacoli musicali e di cabaret, discoteca
all'aperto e varie manifestazioni sportive.
Ma il protagonista assoluto è sicuramente il teatro, dialettale
e non, recitato nel suggestivo scenario della scalinata del Vecchio
Duomo, meglio conosciuta come A scalunata (a).Il teatro è sempre
stato protagonista indiscusso della vita culturale di Naro. Fin dal
1759 per opera del Dott. Paolo Castelli, insigne uomo di cultura,
vengono rappresentate, con larga partecipazione di personaggi, scene
del vecchio e nuovo testamento.
Nel 1807 ad opera del Dott. Calogero Marchese viene rappresentato
lo spettacolo sacro il Mortorio di Cristo, come attesta Fra Saverio
cappuccino. Il filone delle rappresentazioni sacre viene ripreso e
rappresentato, con vivo successo, negli anni 30' dai Giovani della
piccola filodrammatica narese, sia nel teatro comunale (b), sito nei
locali a piano terra del Palazzo Comunale (oggi sede della Biblioteca
Feliciana) che in tourné in vari paesi del circondario. Figura
di spicco, poeta ed animatore della compagnia narese è stato
Pietro Gueli Alletti (+21.03.1983), grande caricaturista della commedia
dialettale. Di lui ci resta una raccolta di poesia in vernacolo Agru
e Dungi. Altra figura di rilievo, nel campo del teatro dialettale
narese, è stato Calogero Gueli Alletti (+20.07.1995),u zi Liddu
per gli amici, allievo e nipote prediletto dello zio Pietro, che gli
effuse la passione per il teatro. Fin dalla tenera età fu attratto
dal teatro, tant'è che già a undici anni calcava le
scene nell'opera Figli di Nessuno di Angelo Musco. Creò negli
anni 70 la compagnia del "Teatro popolare", con cui portò
in scena molte commedie dialettali e la sacra rappresentazione del
Mortorio, in vari paesi della Sicilia. In seguito, negli anni 80,
fondò il Teatro Dialettale di Naro, iniziando l'attività
di regista.
Ora questa felice tradizione teatrale rivive e continua nell'Associazione
culturale Calogero Gueli Alletti e nel Teatro Popolare Città
di Naro, che opera nella nostra cittadina fin dal 1972 per iniziativa
dei soci della filodrammatica Piccolo Teatro dei Giovani. Fu in occasione
delle rappresentazioni della Settimana Santa del 1973, che la compagnia
si istituì realizzando la tradizionale Via Crucis in personaggi.
Le due compagnie portano ogni anno in scena varie commedie in dialetto,
nella splendida cavea antistante l'antico Duomo Normanno, che in occasione
dell'Estate Narese, si trasforma in un suggestivo teatro naturale
all'aperto, ospitando per l'occasione altre compagnie teatrali anche
nazionali, per la gioia di appassionati e di visitatori.
a) Naturale
cavea di n. 156 scalini realizzata nel 700.
b) In tanti anni di attività il teatro comunale ospitò
varie compagnie di prosa, fra cui quella di Rizzotto, Quintavalle
ed Almirante ed il grande attore Flavio Andò, che in cartellone
avevano Giulietta e Romeo, Amleto, il Padrone delle ferriere. Altre
compagnie portarono sulle scene commedie come il Marchese del Grillo,
Fra Diavolo, Capitan Fracassa.Cfr.S.Pitruzzella-Don Diego Calafato,op.cit.p.61.
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GASTRONOMICA
La
buona tavola
Le numerose dominazioni subite come hanno lasciato monumenti e ruderi
a ricordo del loro passato splendore, così hanno mescolato
alla nostra anche le loro esperienze culinarie. Tanti popoli hanno
segnato il passaggio della loro cultura nelle abitudini e modi di
vita, facilmente riscontrabili, ancora ai nostri giorni, anche in
cucina: ai greci dobbiamo una cucina semplice legata ai prodotti della
terra, agli arabi la contrapposizione di sapori agrodolce e piccanti
e profumi speziati nei dolci, agli spagnoli il fasto nell'elaborazione
di dolci e pietanze, ai francesi una certa raffinatezza nel preparare
condimenti e sughi. Così che i loro gusti e le loro pietanze,
passando dalla nostra cucina, sono state "sicilianizzate",
anche se i loro nomi ci ricordano le loro origini straniere: cuscusu',
cubbaita, brioscia, gattò, ecc. Una cucina varia e ricca è
quella di Naro, dove la tradizione del tempo passato sopravvive nella
pasta di casa. In particolare, nei maccarruna filati, tipo di pasta
a cannello, modellati su un ferro da calza e nei sucameli, sempre
modellati su un ferro da calza, ma a cannelli molto piccoli, che vanno
conditi con ragù di maiale e spolverati con la muddricata,
pan grattato saltato in padella o con formaggio pecorino. Come pure
nella tagliarina, pasta spianata e tagliata a striscioline, da mangiare
con fave verdi e ricotta ed, altresì, nei cavatieddri, pasta
plasmata, con il dito pollice, a forma di piccoli gnocchi, buoni con
le minestre o al cartoccio, che bene si accompagnano al castrato arrosto,
capretto al forno, cappone ripieno e tante rinomate stigliole"naritane".(a).
Ma la tavola narese continua con la pasta con sugo e finucchieddri
sarvaggi, pasta con fave verdi o con la ricotta oppure con sugo e
cavulicieddru amaru. Varie,anche, le minestre: di maccu (preparato
con favi cucivuli)(b),di cavuli, di linticchi, di fasola e di ciciri
virdi. Un buon vino paesano (c) accompagna gli sfizi della tavola
narese: la froscia (frittelle di fave verdi o asparagi con uova battute),
la trippa, sanguinaccio, piedi di maiale o di "vaccina",
il formaggio pecorino, a pasta dura o primo sale, con grani di pepe
o senza, la tuma, la ricotta fresca o salata, le olive nere (passiluna),
che fanno tanta coreografia a molte succulenti pietanze, le olive
verdi (scacciati e cunzati con agliu, acitu e pitrusinu).E,"dulcis
in fundo", il semplice e fragante pani callu cunzatu cu uogliu,sali
e spiezi, quanto di più antico la tradizione culinaria narese
può annoverare.
Sapori antichi ed intensi, che sono la civiltà della tavola
e della buona cucina, di cui una gradevolissima peculiarità
ci viene data dai dolci delle feste.
Un discorso a parte, infatti, meritano i dolci ed il pane preparati
in particolari ricorrenze dell'anno:
Per carnevale un dolce particolare è costituito dalle sfinci,
dall'etimo arabo sfang, sorta di bigné di farina, lievitati
ed aromatizzati con cannella, fritti in abbondante olio e,poi, spolverati
di zucchero o miele. Ed, ancora, dai cannola alla ricotta o alla crema
e dal latte fritto, impasto di farina, zucchero e latte, plasmato
in varie forme e fritto in abbondante olio, spolverato di zucchero
o miele.
Per San Giuseppe era usanza preparare per voto le tavolate, cioè
delle tavole, all'aperto, imbandite con tante leccornie(minestra di
finucchieddri con legumi vari e tagliarina di casa, froscia di piselli,
di fave verdi e di asparagi, varietà di carni, crema di latte
con spolverata di diavulina, etc.), a cui erano chiamati a banchettare
dei poveri.Oggi quest'usanza è stata ripresa con la variante
che sono invitati dei bambini, alcuni dei quali impersonano San Giuseppe
ed il Bambin Gesù.
La simpatica tradizione, riscuote vivo consenso e partecipazione anche
nelle scuole, che si adoperano affinché tale usanza possa essere
sempre più valorizzata e tramandata nel tempo. Il dolce tipico
della tavolata sono le sfingi di San Giuseppe, la cui ricetta viene
tramandata gelosamente (e).
Per Pasqua è di rito preparare il Pan di spagna, le ciambelle
all'uovo, le gambrimus ed il caratteristico cannilieri, pane contenente
nel suo interno un uovo sodo,artisticamente plasmato e decorato a
forma di "cestino".
Per San Calogero, la festa del Patrono, è usanza mangiare la
cubbaita, dall'etimo arabo qubbayta, dolce di mandorle sgusciate,
impastate a caldo con miele o zucchero. Particolare di questa festa
sono anche gli ex voto, fatti con pane a forma di gamba, piede, braccio,
testa, (che riproduce, cioè, le varie parti del corpo), che
vengono portati in chiesa, benedetti e distribuiti in forma di devozione
ai fedeli, che ne fanno richiesta.
Per il 2 Novembre si mangia, per antica tradizione, la cuccia, ossia
frumento bollito e condito con zucchero o miele. E, poi, taralli,
biscotti a forma di bastoncini attorcigliati, plasmati con pasta lievitata,
ricoperta di glassa di zucchero ed, ancora, i frutti di Martorana,
(che prendono nome dall'omonimo Monastero palermitano), pasticcini
di mandorla, plasmati e colorati, difficili da distinguere dai frutti
veri che imitano. Ed, infine, i muscardini, impastati con albume di
uovo, farina, ammoniaca e zucchero, molto croccanti.
Per la festa dell'Immacolata, è molto sentito, ancora, il rituale
di preparare, durante il periodo della sua novena, un pane particolare,
chiamato muffuletta, (dal francese moufflette), una sorta di pane
molle e spugnoso, (d) da condire con ricotta oppure con olio, pepe,
formaggio e sarda salata e mangiarlo per devozione.
Per Natale, la festa più popolare del calendario cristiano,
si mangiano i viscotta ricci, cioè biscotti di pasta di mandorla,
aromatizzata con buccia di arancia e plasmati a forma di losanghe
o rotondi ed, altresì, i viscotta scanati, biscotti di pasta
lievitata con aggiunta di saimi, dolcificata ed aromatizzata con cimulu
dunci plasmati in varie forme ed, ancora, i mastazzola, dolci di pasta
lavorata in varie forme, aromatizzata con bucce di arancia, opportunamente
triturate ed impastati con brodo di carrubbe, vino, zucchero, chiodi
di garofano e pepe nero.
a) M. Consoli Sardo - Cucina nostra, Palermo 1978 p.
73 Stigghiolata china come la preparano a Naro:Ingredienti: le budelline
di un agnello, la retina di grasso dello stesso, il fegato ed il cuore
dello stesso, 3 uova sode,gr. 300 di formaggio fresco, 2 cipolline
novelle, 2 foglie di alloro, prezzemolo, sale e pepe q.b. Preparazione:Si
tagliano per lungo le budelline per aprirle e si lavano molto bene
con acqua e sale, poi si risciacquano e si asciugano. Si stende su
un piano la retina di grasso, già lavata e sopra si mettono:
il cuore ed il fegato a striscette, il formaggio a pezzetti, le uova
sode a spicchi, le cipolline pulite, ma intere, le foglie d'alloro,
il prezzemolo tritato, sale,pepe ed un pò di olio. Si avvolge
la rete, arrotolandola e si chiude attorcigliandovi ben strette le
budelline. Si condisce con un pò di sale e pepe e si mettono
ad arrostire sulla brace, girandole di tanto in tanto per circa mezz'ora.Servire
ben calde.
b) Dall'arabo makkada(fava)-makku(minestra di fave) e dal greco(??aµ??-fava)-µ?????(...di
fave), che si serviva durante le feste panepsie, a cui si attribuiva
un effetto vivificante. Cfr. Polibio, libro I,X,3. Pane, legumi, verdure,
dolci, spezie sono la base della cucina araba. I Falafel, polpette
di fave, popolari anche in Egitto, sembra risalgono all'epoca dei
Faraoni: Ingredienti per 4 persone: 1 Kg. Di fave, 2 cipollotti, 2
uova, 10 gr. Di pecorino fresco, farina, prezzemolo, menta, olio per
friggere, sale e pepe e q.b. Sgusciare le fave e lessare in acqua
poco salata con i cipollotti affettati ed una manciata di foglie di
prezzemolo e di menta. Scolare le fave, tenere da parte un mestolino
della loro acqua e passare al passaverdura co gli aromi di cottura.
Tritare il pecorino fresco ed unirlo alla purea di fave con le uova,
un cucchiaio di prezzemolo ed uno di menta tritati, sale e pepe. Se
il composto fosse troppo sodo unire un pò d'acqua delle fave.
Con le mani inumidite formare delle crocchette ovali, della dimensione
di una grossa noce e passare man mano nella farina. Friggere, poi,
in abbondante olio caldo e fare asciugare sulla carta da cucina prima
di servire. Le crocchette di fave si accompagnano bene con carni saltate
in padella.
c) Si documenta da Pausania e da Strabone la preziosità del
vino di Inico ed, oggi, benché scioperata vi sia la coltura
della vite, salubri e saporosi sono i vini rossi di Naro. Cfr, Placido
Palmeri - Intorno ad alcune città antiche della Sicilia. Palermo,1839.
Ad ulteriore testimonianza esiste ancora nel territorio di Naro una
contrada chiamata Deli, che in arabo significa grappolo pendente.
d) Già conosciuto da Plinio, lib. 26, c. 8.2 "panis cavernosus
et phistulosus".
e) Ingredienti: farina gr.500, acqua gr.200, strutto gr. 50, uova
5, un pizzico di sale, olio per friggere q.b., zucchero e cannella
q.b. Mettere in una casseruola, sul fuoco, l'acqua e lo strutto con
un pizzico di sale. Quando l'acqua bolle, versarvi a pioggia la farina
e mescolare, di continuo, con un cucchiaio di legno. Quanto l'impasto
è ben amalgamato, toglierlo dal fuoco e lasciarlo raffreddare.
Aggiungere, quindi, uno ala volta le uova (rosso ed albume) e lavorare
bene l'impasto. Mettere olio abbondante in una padella (dai bordi
alti) e quando (l'olio) sarà bollente versarvi l'impasto a
cucchiaiate. Le sfingi gonfieranno e quando saranno dorate, prenderle,
scolarle e metterle ad asciugare in carta assorbente. Quindi riempirle
di crema e spolverarle di zucchero a velo, misto a cannella.
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