Lillo Novella - NARO, Leggenda arte tradizione - Edizione a cura dell'Amministrazione Comunale -

 

ARTE

Il castello

È forse il monumento più famoso di Naro (foto n. 26/26 bis e 26 tris), la cui storia s'identifica con le sue vicissitudini. Si può affermare che il castello è la stessa ragione d'essere della Città, perché senza di esso, forse, Naro non sarebbe stata una realtà od il suo divenire avrebbe avuto altre manifestazioni.
Il sito fu certamente scelto non solo per le sue caratteristiche di difendibilità, ma per quelle connesse con il controllo dell'ampia e ferace vallata. Per cui, sotto gli Arabi prima e sotto i Normanni ed i Chiaramonte dopo, il Castello assunse non solo la difesa militare limitata alle esigenze locali, ma anche quello d'elemento fondamentale per la struttura e l'organizzazione territoriale di un vasto comprensorio inserito, in altre parole, nel sistema di controllo dell'isola, quale presidio territoriale strategico.
Tale posizione, mantenuta ed accresciuta nei secoli, fece sì che Naro, crogiolo di civiltà, di storia e d'arte, ed il suo Castello diventasse teatro d'importanti avvenimenti, alcuni dei quali hanno perfino inciso sulla storia dell'Isola. Imponente nel suo profilo di pietra gialla, il Castello sembra vigilare ancora oggi sia sulle vecchie case dell'antico "borgo", quasi accucciate sotto le possenti ali del vecchio Maniero, sia sugli edifici della parte nuova della Città evocando, immoto testimone, immagini che conservano intatto il sigillo del tempo.
Percorrendo il lastricato della via Archeologica che inizia dirimpetto al convento delle Suore di Carità od ascendendo la spettacolare scalinata completa di n. 156 scalini, realizzata nel 700, antistante il Duomo Normanno, si giunge ai piedi del "Mastio-Dedalico", com'era anche chiamato in epoca lontana (foto n. 26), poi detto comunemente dei Chiaramonte, dal nome dell'antica e nobile famiglia che governò Naro per più di un secolo, discendente da Federico Chiaramonte dei Clermont di Piccardia d'Auvergen, che aveva sposato Marchisia Profolio dei Signori di Ragusa e Conti di Caccamo.
Secondo alcuni storici e fra essi Pancrazio, Polieno, Frontino e Placido Palmeri, la suo origine è leggendaria. È collocato nell'età di Cocalo, il mitico re dei Sicani, di cui era la primitiva fortezza (a).
Quel che è certo che preesisteva alla conquista degli arabi, che lo ingrandirono e lo fortificarono. Ospitò varie volte Federico II d'Aragona, che nel 1330 vi fece aggiungere la massiccia torre quadrata,alta m. 21 e larga per ogni facciata m. 13, come testimonierebbe lo stemma araldico della Casa Aragonese sul lato occidentale della facciata.
Fu rimaneggiato in epoca chiaramontana, quando Matteo Chiaramonte ottenne la Signoria di Naro. Sembra che nel periodo arabo le dimensioni del castello siano state più estese, fino ad arrivare al Vecchio Duomo, allora moschea, con un ampio circuito di mura che arrivava alla casa del conte Arrigo Rosso di San Secondo, vicino la porta Vecchia e, si dice, che poteva ospitare una guarnigione d'otto mila uomini.
Pare che nell'anno 828 sia stata sede dell'emiro Salem, il fondatore di Salemi, messo a governare con mille uomini dall'emiro Abu Dekak, che aveva già conquistato Naro nel marzo dell'828 (b) e nell'anno 829 dall'emiro Abd Allàh el Chalid ben Jshak. Ed, in seguito dall'emiro Ibn Al Abbas, che talvolta ricusò il denaro e volle piuttosto uomini, (M. Amari, op. cit., pag.175), del Kaid Alì-Ibn-Hawwas. Dal 1081 al maggio 1089 rimane sotto la signoria di Ibn-el-Werd, Signore di Girgenti, Siracusa, Noto e Catania.
Le cronache dicono di lui che scannò i prigionieri e fin le suore di un convento trasse nello harem di Siracusa. Lo spavaldo arabo muore, annegato, combattendo contro il Gran Conte.
A questi succede l'emiro Al Qasim ibn-el-Hamud, l'ultimo Signore arabo di Naro. Anticamente isolato in un pianoro, domina tutta la città e la ferace vallata. Munito d'alte mura, si articola intorno ad un ampio cortile non accentrato e tutto intorno una serie di vani, un tempo adibiti a scuderie ed abitazioni degli armigeri.
È costruito con elementi decorativi in pietra da taglio a faccia vista. La torre quadrata rivestita con accurato paramento murario in conci squadrati, presenta sul lato N-E due belle bifore archiacute, le cui due colonnine di marmo sono state sottratte (c), con grave danno, perché, uniche finestre di epoca chiaramontana della prima metà del trecento, poggiate su una grossa cornice, che delimita i due ordini.
A mezzo di una scala rampante ed attraverso un bellissimo portale ogivale, artisticamente decorato con motivi chiaramontani, si accede al Salone della Torre, in altre parole alla cosiddetta Sala del Principe o dei Baroni, illuminata dalle bifore succitate, con copertura a botte a sesto acuto, formata da blocchetti di pietra arenaria, proveniente da una cava, da qualche tempo abbandonata, esistente in contrada Donato, rinforzata da un arco mediano traverso, sistemato su pilastri semicircolari a base semiottagonale e capitelli floreali.
Sopra di questa, salendo per una scala di pietra, vi è un porterra, ornato di muraglia merlata, ove nell'angolo di levante e mezzogiorno, vi era una garitta di guardia, la cui veduta si estendeva dall'Etna al mare Africano di Sciacca e tutt'intorno quasi all'infinito (d). Dichiarato Monumento Nazionale nel 1912 per opera del Comm. Dr. Domenico Riolo, per parecchi anni è stato adibito a carcere mandamentale.
a) Raccuglia,Castelli, Riolo, Picone;
b) Codice arabo diplomatico, tomo 2;
c) Cfr. Cesare Brandi in D. Provenzani, pittore dei Lampedusa, pag. 35, Palermo 1990
d) Fra Saverio op. cit. pag. 228 e ss.

 


Foto 26


Foto 26 bis

 

Il fantasma del Castello

Come ogni castello che si rispetti anche questo di Naro ha i suoi ricordi di sangue e di delitti. Un'antica leggenda narra di Madonna Giselda, la castellana dalle chiome nere e dagli occhi azzurri, che innamoratasi del proprio paggio Beltrando ebbe un tragico destino. In una notte di luna piena, mentre Beltrando le cantava sulla terrazza il suo amore, accompagnandosi con le dolci note del liuto, furono sorpresi dal geloso marito, Pietro Giovanni Calvello allora Signore di Naro:
Silenti nubi che nel ciel vagante,
bianche come barchette in alto mare,
a quel meta ne tende il vostro andare,
lontano, lontano, e dal zefero portate?
Squallido tutt'intorno è l'immenso,
romito il colle e triste la paura,
che mette all'alma un senso di paura.
Il picciol fiume scorre terso terso,
e i rai riflette de la fredda luna
che in alto e fra le stelle guarda e tace
Il mondo senza speme e senza pace,
cadono scialbe le foglie ad un ad una,
lente ed avvizzite giù nella foresta.
Così … l'uman vita passa mesta… (e)
Il giovane paggio fu ucciso e gettato dall'alto della torre. Giselda, richiusa in una fredda e buia cella, si lasciò morire di fame e di dolore.
Dice la leggenda che, ancora oggi, nelle notti chiare d'autunno un bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello: è madonna Giselda alla ricerca dell'amato Beltrando. E quando si siede nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale dai sottostanti giardini e, fattele appresso, con melodiosi gorgheggi canta una struggente e dolorosa canzone.
E la gente, ricordando questa tragica storia d'amore con commossa fantasia, narra ancora oggi di un bianco fantasma di donna, che nelle notti chiare di luna, vaga perdutamente sugli spalti del castello alla ricerca dell'amato Bertraldo.
e) S. Pitruzzella, Don Diego Calafato, Palermo 1956, pag.
171 e ss.

 


Foto 26 tris - Interno particolare del cortile

 

IL DUOMO NORMANNO

Sull'acropoli, accanto al Castello, si eleva, solenne e maestoso, l'antico Duomo Normanno.
Già dichiarato Monumento Nazionale, la sua fondazione rimonta ad epoca antichissima.
Probabilmente risale a Ruggero d'Altavilla, il Gran Conte di Sicilia, nel 1089 poco dopo la conquista di Naro del 1086, nello stesso luogo dove preesisteva una moschea araba e fu dedicato a Maria S.S. Assunta dagli Angeli.
Nel 1174, anno in cui fu abbandonato il rito ortodosso dell'antica pieve greca di San Nicolò di Bari, fu elevato a Chiesa Madre per opera di Gualtiero Offmill, Arcivescovo di Palermo e Precettore di Guglielmo II, detto il Buono (foto 27).
Fu consacrato alla Vergine Annunziata nella seconda domenica di maggio nel 1266 alla presenza del Cardinale Rodolfo, vescovo d'Albano, legato apostolico di Papa Clemente IV, unitamente agli arcivescovi di Palermo e di Bari ed ai vescovi di Girgenti, di Mazara, di Patti, venuti a Naro per quella cerimonia (a).
Recentemente dell'antico Duomo, per diversi secoli meta ed orgoglio dei Naritani, pur non potendosi vedere più nella sua integrità l'originaria struttura, si è tentato un coraggioso recupero con un largo restauro, seppure incompleto (manca la copertura).
Sito al sommo di una singolare scalinata, l'edificio conserva l'impianto generale del periodo normanno.
Si presenta ad impianto a croce latina con cupola ad intersezione dell'unica navata con il transetto. L'interno è modulato secondo un ordine di colonne addossate ai muri della navata, sormontate da cornici da cui si dipartono dei costoloni trasversali in conci di tufo d'irrigidimento della copertura a botte, oggi restaurata.
La chiesa costruita quasi interamente in pietra tufacea, lunga m. 50,60 e larga m. 9,50, è dotata di corpi laterali aggiunti in successione tale da non rispettare alcuna simmetria.
In particolare nel 1565 vi fu aggiunta, da Bernardo Lucchesi Palli di Campofranco, la cappella maggiore, dedicata alla Madonna della Catena, un tempo Patrona della Città di Naro, in cui si trovava una statua, opera di Gagini, che ora si conserva nella Chiesa Madre, inglobando un'antica torre araba.
Nel 1771 per volere del vescovo d'Agrigento, Antonio Lanza, fu restaurata dagli architetti Gaetano e Giuseppe Bennica d'Agrigento e completata dopo 17 anni.
Nel 1788 fu affrescata da due stucchisti palermitani, Emanuele Ruisi ed il figlio Domenico, mentre mastro Ignazio Citillo ed Amedeo Vella, artisti naritani, la ornarono d'arabeschi.
La volta nella parte centrale, prima del crollo, mostrava magnifici affreschi eseguiti da D. Provenzani, il famoso pittore di Palma di Montechiaro: Maria Assunta, Aronne con l'incenso, Davide con l'arpa, Mosè con le tavole della legge, Giosuè in atto di fermare il sole e Giuditta che libera il popolo di Betulia.
Della Signoria dei Chiaramonte ci resta il bel portale d'ingresso, restaurato nel 1818, sebbene corroso dal tempo, con il suo caratteristico arco a sesto acuto, poggiato sopra un gruppo di quattordici colonnine, riccamente modulato ed ornato a zig-zag e palmette, rappresenta uno degli esempi più perfetti di raffinatezza e di preziosità formale raggiunta dall'arte chiaramontana.
Nel vestibolo della chiesa, sulla destra della porta d'ingresso, una rustica nicchia trecentesca con arco e linee spezzate. L'interno, totalmente rinnovato in tarda età barocca mantiene pochi resti della ricca ornamentazione di stile corinzio originaria, rivelabile ampiamente nelle colonne, nei capitelli e nel cornicione.
Nell'interno si poteva ammirare un magnifico affresco del sec.XV (ora presso i locali della Biblioteca Comunale) che raffigura Maria SS. Assunta in cielo, con dodici figure denotanti gli apostoli (foto 28).
Manca la testa della Madonna (b), toltavi con arte da persona del mestiere e che farà bella mostra di sé in qualche museo di Londra o di Parigi, come frammemto d'affresco d'Antonello da Messina, come lamenta il Pitruzzella. Fu chiusa al culto nel 1867 e destinata in seguito a cimitero dei morti di colera nel 1889 e la maggior parte delle opere d'arte ivi custodite fu portata in altre chiese. Era sede della Confraternita dello SS.Sacramento, formata da nobili e sacerdoti, fondata nel 1700, che si mantenne fino alla metà del 1800, al tempo del Rev.do Priore Francesco Costa. Il Viatico è ora celebrato dalla Chiesa Madre con una solenne processione.
a) P.Massa, Sicilia in prospettiva, pag. 248
b) Maria Accascina, in Giornale di Sicilia del 19.02.1937.

 


Foto 28

 

Chiesa di San Francesco


La chiesa e l'annesso convento di San Francesco, furono fondati di piccole dimensioni e di povere strutture nel 1229 da Rodorico Palmeri di Naro, dei Padri Conventuali dell'ordine dei Mendicanti, con Breve Apostolica dal Papa Gregorio IX (a), che diede come reliquia un pezzo del cordone, con cui San Francesco si cingeva la vita, due anni dopo la canonizzazione del "Poverello d'Assisi", lungo la strada degli allori (oggi Largo Milazzo) nel sito ove esisteva il "Fondaco delle olive" di grande importanza strategica poiché al centro del nucleo cittadino, in asse a nord con il castello ed a sud con la porta di Girgenti (b).
La posizione è ideale per un controllo generale di tutta la città e l'Ordine gradualmente aumenta la sua rilevanza economica e sociale, tanto che alla fine del secolo XVI i Francescani possederanno ben tre conventi: quello dei Minori Conventuali, quello dei Minori Osservanti a Santa Maria di Gesù ed un secondo convento di Minori Conventuali a San Calogero ed, inoltre, nel secolo XVII promuoveranno l'edificazione di un sobborgo fuori le mura.
Dopo quasi un secolo, per la povertà delle strutture, il convento fu ricostruito dalle fondamenta nel 1330 da Giovanni Chiaramonte, allora Signore di Naro (c).
Subì varie modificazioni nel secolo XVII e XVIII.
Oggi è Sede del Palazzo di Città, cui si accede dal severo chiostro settecentesco, con giardino con, al centro, un'artistica fontana e con atrio interno, costituito da pilastri portanti, con semicolonne addossate su cui poggiano elegante arcate, ad una sola navata longitudinale, modulata lateralmente secondo un ordine di paraste addossate alle pareti, su cui, come una cornice, diparte la volta a botte. Ora si presenta come uno fra i tipici esempi del primo barocco siciliano, per volontà del P. Francesco Miccichè, provinciale e guardiano del convento francescano.
Ha nobile facciata in tufo giallino con manieristici intagli di esuberante gusto spagnolesco, entro un telaio di lesine di tipo cinquecentesco e coppie di cariatidi, che mostrano un eccentrico effetto plastico - chiaroscurale (foto 29).
Grande interesse riveste la parte inferiore con il grande portale, fiancheggiato da coppie di cariatidi e sormontato dalla nicchia dell'Immacolata.
La parte superiore adorna da una grande finta finestra e da nicchie, ormai vuote, entro paraste cinquecentesche, era sormontata da un artistico orologio a corda fatto collocare nel 1896 per volontà del nobile Benedetto Contrino, allora Sindaco di Naro, con alcuni pilastri che bene si armonizzano con tutto il prospetto (recentemente l'artistico orologio è stato sostituito con uno più moderno: elettrico!).
L'interno, ad unica navata con volta, presenta una ricca decorazione a stucco, eseguita da Francesco Santalucia e dal figlio Salvatore ed indorata da P. Clemente da Bivona, religioso del medesimo ordine (1780), che si articola su due ordini divisi dal cornicione.
La stessa volta ha una pregevole decorazione a fresco dovuta al pennello di Domenico Provenzani, l'enfant prodige, figlio del falegname del Principe Don Ferdinando Tomasi di Lampedusa, allievo di Vito D'Anna e del Serenario, che nel 1780 dipinse lo scenografico affresco con il trionfo dell'Immacolata, di ispirazione dantesca, oltre ad altri quattro minori che coprono tutta la volta e che si ispirano al Vecchio Testamento.
Nella chiesa si conservano alcune pregevoli tele, tra le quali lo Sposalizio della Vergine (transetto) ideato da Raffaello e realizzato a Roma nel 1780 dal trapanese Giuseppe Mazzarese, che chiude la cappella dove è custodita la splendida statua rococò dell'Immacolata (Foto 30), rivestita da una lamina d'argento, dovuta a Padre Melchiorre Milazzo ed opera egregia di maestranze maltesi (Carlo Troisi ed il figlio Paolo nella città di Valletta nel 1719).
Nel 1692, dietro sua richiesta, fu donata al popolo narese la sacra reliquia dell'osso omerale del protettore San Calogero, preso dal Monastero di San Filippo di Fragalà (ME) dei Padri Benedettini, da Silvestro Napoli Lanza, Barone di Longi (ME), conservata, ancora oggi, in un'artistica teca d'argento, squisitamente lavorata, nel Santuario di San Calogero.
Ed, altresì, l'Immacolata di Vito d'Anna (sec. XVIII), oltre i sei dipinti di Fra' Felice da Sambuca: Sant'Antonio, San Calogero, la Stigmatizzazione di San Francesco, Gesù Cristo con i SS. Lorenzo e Bartolomeo, la Buona e la Mala morte, opere della piena maturità dell'artista cappuccino.
Sempre a P. Melchiorre Milazzo è dovuto l'altare Maggiore, con scene dell'ultima cena e della Passione di Cristo, eseguito nel 1899 da Gaetano Vinci da Naro ed, altresì, gli stalli corali, opere di maestranze locali. Allo stesso committente, ancora, si deve la costruzione (1707) e la decorazione (1721) della monumentale sacrestia che, recentemente restaurata, è uno degli ambienti più fastosi del barocco narese.
Gli affreschi della volta con i quattro Evangelisti sono opera egregia di D. Giuseppe Cortese da Venezia, mentre i prestigiosi armadi in noce, finemente intagliati ed arricchiti con numerose figure e sculture, le cui ante internamente sono artisticamente dipinte, sono opere settecentesche di maestranze palermitane.
Degno di nota è un lavabo rococò in marmo nero, opera di maestranze trapanesi, cui fa contrasto la bianca decorazione, pure marmorea, con la stigmatizzazione di San Francesco (foto 32).
Ed, altresì, si possono ammirare nel secondo altare a destra il corpo imbalsamato di Santa Colomba e nel secondo altare a sinistra quello di San Domizio Leopardo, che unitamente al corpo di San Torpedo (cfr. SS. Salvatore, pag. 72) sono particolarmente venerati dai numerosi pellegrini, che vengono a Naro per la festa di San Calogero.
Accanto a P. Melchiorre e a Donna Felice, la sorella nubile e timorata di Dio, cui è dedicata la biblioteca comunale, si segnalò per meriti letterari anche il fratello Baldassare, pure conventuale minore a Roma.
Due ritratti ad olio dei fratelli Melchiorre e Baldassare, erano custoditi nei locali della Biblioteca "Feliciana", ma recentemente sono stati trafugati da ignoti.
Ci restano, però, due erme collocate dentro nicchie nel chiostro (1763) dell'ex convento di san Francesco,oggi Palazzo di Città.
Fino al 1890 gli Uffici del Comune si trovavano nei magazzini affittati di D. Giuseppe Palmeri (d), siti nella via dei Monasteri, oggi Via Dante.
Il convento, con verbale del 27 agosto 1890, fu acquistato dallo Stato per trasformarlo in sede del Comune, i cui lavori furono appaltati ai fratelli Giovanni e Giuseppe Saieva di Favara con atto n. 70 del 9 Maggio 1891.
Dei preziosi cimeli conservati, si può ancora ammirare la pantofola sinistra di San Pio V, in broccato veneziano di velluto, seta ed oro, nonché arredi sacri in argento e ricchi paramenti, mentre la reliquia del cordone di San Francesco, tre statuette di alabastro sono state trafugate,unitamente ad altri preziosi oggetti.

a) Rocco Pirri, Sicilia sacra, Palermo 1973
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 303 e ss.
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 29
d) Cfr. M. Riolo Cutaja op. cit.

 


Foto 29


Foto 30 - Simulacro d'argento


Foto 31 - Convento e Chiesa di San Francesco - Antico prospetto -


Foto 32 - Lavabo particolare

 

La Biblioteca Comunale "FELICIANA"


La fondazione della Biblioteca di Naro risale alla seconda metà del secolo XVII, ad opera del Priore P.Melchiorre Milazzo da Naro, dell'ordine dei Minori Conventuali Francescani, come si legge nella storia manoscritta di Naro di Fra Saverio Cappuccino(1731), aiutato finanziariamente dalla sorella Donna Felice, a cui la Biblioteca è dedicata.
È situata nei locali del piano terra dell'ex Convento dei Frati Minori Conventuali, oggi sede del Palazzo Comunale.
Del suo prezioso patrimonio librario di circa 13.000 volumi, per la maggior parte proveniente dall'ex Convento dei Francescani ed in minor parte dal patrimonio librario dei Padri Minori di S. Maria di Gesù e dei Minori conventuali Cappuccini, come si evince dallo stampo di appartenenza, fanno parte:
a) n. 23 incunaboli, contrariamente a quanto afferma l'annuario delle biblioteche d'Italia, che ne ricorda solo 4. Tranne 2, i restanti sono di argomento religioso. La stampa di questi volumi è curata da alcuni dei suoi migliori cultori, quali Ottaviano Scoto, Andrea Torresani, Giorgio Arriva Bene, Aldo Manunzio
b) n. 400 cinquecentine, circa, che abbracciano numerosi argomenti, quali religioso, diritto, filosofia, letteratura. Provengono da diverse officine tipografiche : quella di Andrea Torresani, dei Sessa, di Aldo Manunzio, di Giovanni Scoto, degli Arriva Bene, dei Gregori.
c) n. 56 manoscritti, contrariamente a quanto afferma l'annuario delle Biblioteche d'Italia, che ne ricorda 47. Di questi manoscritti uno è di Fra Salvatore da Naro e due sono di Fra Saverio Cappuccino, molto importanti perché trattano della storia di questa Città dalle mitiche origini fino al 1825.
Ed, altresì, n. 2 volumi "Segretia della Fulgentissima Città di Naro, ovvero Costituzioni segreziali per Naro, del sec. XVIII.
Il volume più pregiato è un codice pergamenaceo (sec. XII-XII) "Breviarum Typis Gothicis-Pergamena Charta", in scrittura gotica libraria miniata in oro, opera di amanuensi di scuola fiorentina, con fregi e disegni allegorici rappresentanti figure animali, opera egregia di amanuensi probabilmente di scuola bolognese, con influssi francesi (foto 33).
Vi sono, inoltre, numerose opere di narrativa, letteratura, scienze, sociologia, saggistica, arte, storia, musica, nonché una sezione per ragazzi ed una ricca gamma di opere siciliane, nonché una cineteca di feste e tradizioni popolari.
La biblioteca rimane aperta a disposizione del pubblico, con l'assistenza di personale qualificato, tutti i giorni feriali.

 


Foto 33 - Codice pergamenaceo

 

Chiesa Madre


La fondazione della chiesa e del collegio della Compagnia di Gesù viene attribuita a don Antonino Lucchesi (a), per opera del P. Gaspare Paraninfo da Naro, religioso del medesimo ordine, nel 1619 con il contributo economico anche delle famiglie Gaetani e Bandino, nonché del Comune di Naro, come testimonia l'atto delle diverse donazioni, redatto dal notaio Vincenzo Pagliaro da Naro, ottobre 1619, conservato nell'archivio di stato di Palermo ed accettato dal Rev.do P. Don Panfilio Lambertenghi, Provinciale dei Gesuiti, per istituire e fondare in Naro un collegio di studi diretto dai Padri Gesuiti e secondo il loro metodo, in uno spazio enorme al centro della città, lungo un asse longitudinale, dove le famiglie nobili edificano i loro palazzi, realizzando nel tempo una vera e propria strada, la via Maestra o dei Monasteri (b), odierna via Dante Alighieri.
In detto collegio venne fondata, infatti, una famosa scuola, florida per più di un secolo, dove si teneva un corso di studi completo per avviare la gioventù, proveniente anche da altre città, ai corsi universitari degli insegnamenti di teologia, grammatica, retorica e filosofia, con una folta schiera di letterati, tanto da essere paragonata per importanza all'Università di Catania, unica allora in Sicilia (c).
Uno degli alunni più illustri fu Bonaventura Attardi, famoso autore del libro Monachesimo in Sicilia, come viene attestato da documenti esistenti presso la Curia Vescovile e l'Archivio di Stato di Agrigento.
Fu mantenuta in attività fino al 1863, quando fu chiusa per ordine del Ministero della Pubblica Istruzione del regno d'Italia!
La chiesa, dopo la chiusura del Vecchio Duomo, prese il titolo di chiesa Madre. Subì varie modifiche nel 1702, nel 1734 e nel 1763 (foto 34).
Agli inizi del novecento la facciata fu rifatta ad opera di Francesco Valenti, che la divise in due ordini, mantenendo l'antico portale, mentre sostituì i due ingressi laterali con due piccole finestre, il rifacimento del finestrone con il balconcino e le finestre laterali dell'ordine superiore.
Originale è la parte superiore del campanile L'interno è ad impianto longitudinale, simmetrico con transetto e finta cupola. Internamente fu intonacato con ricchi stucchi e pregevoli decorazioni ad opera del rettore P. Carlo Baldone da Naro nel 1734.
Vi si conservano molte opere provenienti dal Vecchio Duomo: Il fonte battesimale, recante la data del 1484, di Nardo da Crapanzano; la Statua in marmo della Madonna della Catena, opera iniziata nel 1534 da Antonello Gagini, ma finita dal figlio Giacomo nel 1543; una Madonna col Bambino detta della Pace, del secolo XIV, di pregevole fattura, di bottega Gaginesca; un Crocifisso nell'atto di spirare di P. Domenico Di Miceli; diverse tele del Provenzani, fra cui spicca l'Annunciazione (1780), opera che risente dell'influenza del suo maestro Vito D'Anna e resta una delle opere più riuscite dell'artista, (proveniente dal monastero delle Nunziatine o Badia Piccola, per cura dell'arciprete Don Silvestro Cassarino, fu collocata nella chiesa Madre nel 1785, quando la Chiesa ed il Collegio dei Gesuiti furono concessi alle monache benedettine della SS. Annunziata); una Sacra Famiglia, gruppo in marmo di scuola gaginesca. In sacrestia sontuoso "Cascerizzo" del 1725, realizzato dai maestri agrigentini Gabriele Terranova e Giuseppe Cardillicchia.
A destra della chiesa, il Collegio che si articolava intorno ad un ampio chiosco con porticato, del quale oggi rimane soltanto un lato originario ed uno rifatto, con demolizione delle crociere originarie.
Il portale d'ingresso riccamente intagliato nella pietra arenaria (foto 35), assume particolare rilievo per la forma architettonica e la decorazione.
Fu in parte abbattuto il paramento murario negli anni 50", per far posto ad un plesso scolastico ed all'ufficio collocamento.

a) V. Amico op. cit. pag. 29
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 324
c) R. Pirri, op.cit. pag.742

 


Foto 34 - Cattedrale


Foto 35 - Ingresso - Particolare

 

Chiesa del SS. Salvatore


La chiesa, con l'annesso convento delle Benedettine (foto 36), vennero edificati , secondo Fra Saverio, intorno al 1398, anno in cui re Martino, il Giovane e la regina Maria furono a Naro. Nel corso dei secoli subì vari interventi.
Rimaneggiata nel 1530 con l'ampliamento del convento ed il rinnovo della facciata. Nel 1750 si ebbe la costruzione del campanile.
Negli anni 50", il vecchio Monastero delle Benedettine venne demolito, per far posto alla scuola elementare "San Giovanni Bosco", con il plesso San Secondo. Il monastero che accoglieva donzelle di nobile progenie, di Naro e della Comarca, in origine si divideva in due organismi: uno superiore, con ingresso in Largo San Secondo, edificio modesto nel progetto, con balconi in ferro battuto ed uno inferiore, in via Dante, complesso severo ed austero con finestre difese da fitte grate panciute in ferro, dove, accanto al portone d'ingresso, esisteva la "ruota della miseria", in cui venivano abbandonati molti bambini "indesiderati".
Dal plesso inferiore si poteva accedere al plesso superiore tramite una scala intagliata nella roccia (ancora esistente).
Del fasto antico resta solo un cantonale d'angolo (denominato Quarto Nobile) dalle poderose lesene e con balconi ornati di ricche mensole. L'ultima Badessa è stata Donna Antonina Gaetani (1824/1923), nobile naritana (a).
Rimaneggiata nel 1530, successivamente venne più volte rinnovata nei secoli XVI° e XVII°.
La facciata a duplice ordine, dei quali quello superiore in pietrame, mai ultimato, presenta in quello inferiore, che è il solo completo, ricchi e fasti intagli tufacei di gusto spagnolesco di mirabile effetto plastico coloristico e due nicchie con statue di S. Benedetto da Norcia, a sinistra e della sorella Santa Scolastica a destra, con le insegne abbaziali, fondatori dell'Ordine Benedettino, inquadrati da sei robuste paraste con piedritti e capitelli di ordine corinzio.
Tra una parasta e l'altra, nella parte superiore, sono inserite quattro finestre difese da fitte grate di ferro.
Il portale aggettante è inquadrato da colonne tortili aggiunti in pieno seicento ed è sovrastato da una elegante edicola. Il campanile, tozzo e massiccio, è del 1750, ma rimase incompleto.
Il nascente Barocco è riprodotto in elegante e sobrio stile, scevro da ogni esagerazione ed esprime grandiosità e fioriture d'ornati.
L'interno, ad una sola navata, presenta una larga spazialità, scandita da elementi decorativi alle pareti ed il rapporto pronao-aula è ben individuabile.
Mostra, infatti, una ricca decorazione di stucchi e di affreschi sebbene molti deteriorati. Gli affreschi della volta dovuti al pennello di Domenico Provenzani, con episodi della vita di San Benedetto e della sorella Scolastica, sono stati realizzati nel 1764.
In particolare nell'affresco centrale è dipinta la glorificazione di San Benedetto e del suo ordine monastico, nei due quadri minori della medesima volta l'artista palmense raffigurò San Benedetto che dà la regola ai suoi seguaci e "l'ascesa di San Benedetto".
Si possono ancora ammirare un sarcofago di porfido nero del 600", sostenuto da due leoni, che racchiude i resti di Giuseppe Lucchesi, Marchese di Delia, ispirato al sacello di Federico II°, nella cattedrale di Palermo, e l'altro, di marmo bianco, ancora legato a formule manieristiche, contenente le ceneri del figlio Assuero, morto a 18 anni, ultimo rampollo dei Duchi d'Alagona.
Ed, altresì, una Madonna del rosario, in marmo del 1498, posta nel primo altare a destra, detta comunemente la "Madonnina di Trapani", sec. XVI, un Crocifisso ligneo settecentesco con motivi classici e baroccheggianti, la statua settecentesca di San Benedetto di stile rococò e quella tardo cinquecentesca, d'ispirazione manieristica, di San Eligio (foto 38). La macchina dell'altare, in legno intagliato, è opera egregia di Giosuè Durando e Nicolò Bagnasco (1795).
Ed, ancora, in un'artistica teca, in legno e vetro, viene religiosamente conservato il corpo di San Torpedo, donato dalle autorità pontificie alle conventuali, per intercessione di Suor Maria Vincenza Andolina Gaetani, insigne letterata dello stesso convento (1632-1689). È da ammirare, altresì, sebbene molto deteriorata la "natività, ultimo quadrone esistente nella Chiesa, dei sei eseguiti nel 1735 dal P. Domenico Di Miceli, monaco-pittore del 700". Al convento è legato un grave episodio di sangue del 1411, all'epoca delle lotte fra la fazione latina e quella catalana.
Naro parteggiava per Bianca di Navarra, Vicaria del Regno di Sicilia, che tendeva all'indipendenza dell'Isola, dopo la morte di re Martino, il Vecchio (1410), favorendo l'avvento al trono di Fernando, Conte di Luna, figlio naturale di detto Martino.
Di contro, si opponeva Bennardo Cabrera, Conte di Modica, capo della fazione catalana, che non voleva la Sicilia staccata dalla Corona Aragonese.
Il Cabrera, a tradimento, nell'agosto del 1411 si impadronì del Castello di Naro, trucidò il castellano, Lopez Leon, saccheggiò la Città e fece seppellire viva l'innocente monaca Cannizzaro, badessa del convento, colpevole soltanto di essere la cugina del castellano Lopez Leòn (b).
Del fatto la regina Bianca diede l'annuncio ai fedeli feudatari del regno in un'accorata lettera, riportata nell'archivio storico siciliano dal barone Raffaele Starrabba (c), che è anche un documento della lingua siciliana illustre, che era, all'epoca, la lingua ufficiale della nostra Isola.

a) Maria Riolo Cutaja, Profili di Naritani, p. 350 e ss.
b) S,. Pitruzzella, Naro: arte, leggenda, archeologia, Palermo 1938, pag. 27 .
c) Saggio delle lettere del Vicariato della regina Bianca, pag. 47

 


Foto 36


Foto 37


Foto 38 - Sant'Eligio e San Torpedo


Foto 38 bis - Monastero e Chiesa del SS. Salvatore antico prospetto

 

Chiesa di Sant'Agostino


Secondo alcuni storici e fra essi Rocco Pirro, Frà Salvatore e Vito Amico, la fondazione del convento di Sant'Agostino risale al VI secolo, quando alcuni eremiti della regola di Sant'Agostino, creata da Fulgenzio, Vescovo di Rugge, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali, dalla vicina Africa sbarcarono in Sicilia.
Alcuni di essi trovarono rifugio a Siracusa, altri vennero a stabilirsi a Naro, fuori dell'abitato nelle grotte del colle chiamato "romito" (a), dove costruirono un chiesino, detto"chiesa del romito" (foto 39).
Accanto ad essa, in seguito, costruirono un modesto convento (foto 39), dove rimasero fino all'invasione saracena. Pare che in quel primo convento sia vissuto il venerabile San Eustachio da Naro, eremita intorno al 627, che professò la regola di Sant'Agostino con alcuni frati e perciò restò a lungo il nome di romito, come attesta Frà Saverio (b).
Scacciati dai Musulmani tornarono a Naro nel 1086, grazie al Conte Ruggero e si posizionarono in un luogo più comodo e più vicino all'abitato.
Nel 1117, abbandonato quel luogo, eressero la loro terza residenza di modeste dimensioni nel sito, dove attualmente sorge la Chiesa con quel che resta dell'antico convento. Fu ampliato nel 1254 e nel 1617.
Ulteriori lavori, di abbellimento ed ampliamento al convento, furono eseguiti ancora nel Seicento e nel Settecento. Nel convento, al centro del chiostro, vi era una grande cisterna d'acqua.
Alcuni anni fa, parte del convento è andato completamente distrutto per far posto ad una incompiuta costruzione moderna.
Della vecchia costruzione conventuale, ancora oggi, restano solo alcuni avanzi, tra cui una bifora. Il pezzo più interessante, tuttavia, rimane il pregevole portale dell'atrio incorporato nella sagrestia che, assieme alla predetta bifora, apparteneva probabilmente alla sala del refettorio del convento ed immetteva nel vecchio chiostro.
Finissima è la decorazione di questo portale con arco a sesto acuto e con colonnine di ordine corinzio, di grande effetto, che può farsi risalire a maestranze locali del '300, ancora lontano dallo stile chiaramontano che influenzò tutto un secolo e che è presente in altri organismi medievali della nostra città.
Una porta settecentesca in noce, con incisi nei pannelli episodi della vita di Sant'Agostino,completa il portale di grande effetto. Nella sagrestia notiamo molte opere di rilievo ad iniziare da una stampa con l'albero genealogico dell'Ordine Agostiniano, dell'incisore piacentino Oliviero Gatti, che si ispira al manierismo emiliano. Inoltre una porta dipinta dal Provenzani, cui si devono i sei tondi con la Madonna del Soccorso e Santi (nell'antisagrestia).
Tra i numerosi ritratti dei priori si possono ancora ammirare i nove dovuti pure al pennello del Provenzani ed inoltre un ricco "Cascerizzo" settecentesco (1796), realizzato da Giacinto, Raimondo e Paolo Caci ed un fine lavabo in marmo policromo fine Settecento, con influssi neoclassici.
Ma l'opera più pregevole è la tela con "San Girolamo in meditazione" del Provenzani, fra le migliori dell'artista palmense (c).
È, per unanime concordanza dei critici, la massima espressione della sua arte e fra le più alte della pittura siciliana del 700'.
Nell'antisagrestia si conserva il monumento funerario barocco del notaio Don Lorenzo Favara (1692), ancora legato al gusto manieristico.
La chiesa progettata da Francesco Querni, fu iniziata nel 1707, ma rimase incompiuta.
Fu completata con l'aggiunta del secondo ordine del prospetto, che rispecchia a grandi linee quello della basilica romana di San Giovanni in Laterano, nel 1815 ad opera di Don Felice Vinci, oriundo da Palma di Montechiaro e capostipite di una grande famiglia di artisti di multiforme ingegno.
Fu ornata da una balaustra con statue scolpite da Don Calogero Vinci da Naro, figlio di Don Felice.
La chiesa è a croce latina con cupola e coro semicircolare, mentre le navate laterali sono più basse e coperte da volte a crociera.
L'interno è ricco di opere d'arte, tra cui sono degne di nota: un crocifisso ligneo del 1535, la statua lignea di San Francesco di Paola, pregevole opera di Nicolò Bagnasco, un'acquasantiera marmorea di gusto rinascimentale-gaginesco, un pulpito ligneo di fine 500, dove al centro è scolpita la conversione di San Paolo, il manieristico sarcofago di Francesco Alacchi (1606) ed il monumentale organo costruito nel 1770 dall'agrigentino Gaspare Di Franco.
Nel presbitero un notevole coro ligneo tardo-settecentesco in due file, opera di maestranze locali e due dipinti, l'Estasi di Sant'Agostino e la Madonna con il Bambino ed i SS. Agostino e Scolastica, della scuola del Provenzani.
Di notevole valore pure i dipinti: la Madonna della consolazione, Sant'Agostino, San Tommaso di Villanova, San Giovanni da S. Facondo, San Guglielmo e San Nicolò da Tolentino.
Interessanti sono pure il transito di San Giuseppe dell'agrigentino Michele Narbone, nonché la Samaritana al pozzo e la fuga in Egitto, opere fra le più rappresentative del settecento locale.
Sottostante alla chiesa è la cripta che fu realizzata per la sepoltura dei frati dall'architetto Frà Girolamo Agostino De Cremissa, dell'ordine agostiniano, come ci viene attestato da una lapide fatta apporre nella stessa cripta da P. Prospero Favara.
La cripta fino al 1891 servì da Cimitero.
Nel 1900 tutte le ossa furono raccolte e poste in un ossario. La cripta, divisa in navate, racchiude in quella di centro alcuni caduti delle guerre mondiali e delle campagne d'Africa.
Nelle navate laterali nicchie vuote, dove venivano posti " a scolare" dopo la morte, i monaci per l'imbalsamazione.
La chiesa ed il convento sono conosciuti anche perché citati nel romanzo di Luigi Natoli "Fra Diego La Mattina" il frate agostiniano che per sfuggire alla cattura per ordine del Tribunale dell'Inquisizione, diventato un avventuriero e popolare bandito, trovò rifugio per qualche tempo in questo convento agostiniano.
Ma successivamente, preso ed arrestato, finì sul rogo a Palermo.

a) B. Attardi, Monachesimo in Sicilia, pag. 52
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 260 e seguenti.
c) G.B. Comandè, D. Provenzani, pittore Siciliano del sec.XVIII, Palermo 1948, pag. 49/50.

 


Foto 39 - Chiesa di Maria SS. dello Stretto di Sant'Agostino. Romitorio


Foto 40 - Antico prospetto

 

Chiesa di San Calogero


Non si hanno notizie storiche del periodo in cui fu costruita la chiesa di San Calogero. Si dice, però, che la fondazione della chiesa è stata anteriore al convento. Pare, infatti, che una chiesa dedicata a San Calogero sia stata edificata verso il 1436, al tempo di Papa Eugenio IV, mentre il convento fu fondato dai RR. PP. di San Giorgio in Alga nel 1543, sotto il pontefice Paolo III.
Il 29 giugno dello stesso anno, la chiesa fu concessa dal vescovo d'Agrigento P. Pietro D'Aragona e Tagliavia ai PP. RR. di San Giorgio in Alga, essendo giurati della Città Placido Camastra, Giovan Battista Gueli, Antonio Di Sazio e Giulio Mazza (a).
I RR. PP. di San Giorgio in Alga, chiamati così perché avevano la loro casa principale nell'isola di San Giorgio in Alga a Venezia, furono fondati all'inizio del 400' da alcuni nobili fiorentini, abbellirono ed ingrandirono la chiesa e tennero la medesima ed il convento fino all'abolizione del loro ordine. Il complesso religioso, quindi, fu acquistato dai RR. PP. Minori Conventuali di san Francesco (con atto del 4 aprile 1672, rogato dal notaio Lorenzo Favara), per la somma di cinque mila scudi, con la condizione di mantenere lo studio di Filosofia e vegliare sul culto del Protettore San Calogero.
La chiesa, restaurata varie volte nel 1666, nel 1748(anno inciso nell'architrave della porta principale), nel 1819 (fu riportata alla luce la cripta del Santo), nel 1950 e nel 1957, ad unica navata con profonda abside, dipinta da D. Bennardino Buongiovanni e da P. Domenico Di Miceli, rispecchia l'impianto seicentesco (b).
Un'ampia scala conduce alla cripta sottostante, ove è conservata in una singolare custodia, su un altare di legno dorato in stile barocco, il simulacro di San Calogero, il Santo Nero, venuto dalla Calcedonia, fra il VII e l'VIII secolo in Sicilia, eseguito da Francesco Frazzotta e, completato nella testa, dalla figlia nel 1566.
Emozionante è la grotta dove pare vi abbia abitato il Santo eremita, posta all'interno della cappella a Lui dedicata (foto 41).
La cripta è stata restaurata da Umberto Colonna da Bari, lo stesso artista che ha dipinto anche la figura di San Calogero in preghiera all'interno della grotta, mentre è stata indorata da Cocò Schembri, quando fu pure rinnovato il settecentesco altare da Tito Vaccaro, maestro ebanista, entrambi nostri concittadini (c).
Varie opere, degne di nota, della prima metà del secolo XVIII, si conservano nella chiesa insieme a numerosi dipinti d'autori anche contemporanei.
Notevole è la cappella (700) dedicata a Santa Lucia, affrescata con scene della vita della Santa di Siracusa, l'altare marmoreo del 1444, scolpito a bassorilievo con l'adorazione del SS. Sacramento.
Ed, altresì, un Cristo alla colonna, molto curioso, in marmo le cui particolari venature imitano il sangue sparso sul corpo flagellato, opera di maestranze trapanasi.
Il prospetto esterno, forse dovuto a Giovanni Biagio Amico od a Rosario Gagliardi, mostra i suoi partiti architettonici più rilevanti nella facciata principale convessa, divisa in duplice ordine, di gusto barocco, in cui risalta il portale principale d'ingresso in pietra da taglio.
Notevole è anche il coevo portale laterale secondario, legato a formule rococò, diviso in due sezioni, l'inferiore fiancheggiato da due colonne per lato, poggianti su alti piedistalli ed a corpo avanzato rispetto al parametro murario e terminanti, con raffinati capitelli corinzi, su cui poggia una cornice, dove si eleva una cappelletta al centro della quale v'è l'affresco di San Calogero con la cerva ed il cacciatore Arcadio.
Attualmente la chiesa ed il convento è sede dei P. Guanelliani, che con il loro costante impegno in campo spirituale e sociale, mantengono l'attività del Santuario in crescente dinamismo, ultimamente con la lodevole iniziativa dell'istituzione di una Casa-Albergo in favore degli anziani.

a) Fra Saverio Capuccino, op. cit. pag. 286
b) A. Giuliano Alaimo in L'ora del 5 marzo 1943
c) Salvatore Capodici, L'opera di Don Guanella in Sicilia, Roma 1997, pag. 115.

 


Foto 41 - Cappella e Custodia di San Calogero

 

Chiesa di San Nicolò di Bari


La chiesa con l'annesso convento (foto 42) venne eretta nel 1618 ad opera del benefico Vincenzo Lucchesi, forse sui resti dell'antica pieve di San Nicolò di Bari, Vescovo di Mira (a).
Per antichissima tradizione sembra questa pieve essere stata in Naro la prima chiesa, edificata alla fine del IV secolo e, precisamente, nell'anno 393, con bolla di papa Siricio, che destinò a Naro un sacerdote di nome Teodosio, insignito con il titolo di Priore, che in quel tempo aveva l'autorità di un vescovo (b).
La chiesa ebbe il nome di San Giuseppe, mentre il convento fu chiamato "Collegio degli orfani". Nel 1636, sempre per sua iniziativa, detto collegio fu mutato in Monastero femminile, con il titolo di Santa Chiara. Dopo alcuni anni da Donna Deodata Lucchesi, monaca del Monastero del SS. Salvatore o Badia Grande, prese il nome di Maria SS. Annunziata o Badia Minore, con la regola di San Benedetto (c).
Nel 1785 la chiesa fu eretta a Parrocchia, con il titolo del glorioso San Nicolò di Bari, Vescovo di Mira. Ha larga facciata in tufo giallino, con motivi manieristici d'esuberante gusto spagnolesco, tipici della prima architettura barocca siciliana.
Sul portone d'ingresso lo stemma nobiliare della famiglia Lucchesi Palli, che trae origine da Adinolfo Palli, figlio di una sorella di Desiderio, re dei Longobardi e, di seguito, tra i suoi discendenti, da Andrea Palli, che essendo passato in Sicilia, aggiunse il nome Lucchese in memoria della sua Patria Lucca.
La facciata si articola su due ordini ed è, verticalmente, riportata in tre parti simmetriche rispetto all'asse centrale. La parte superiore è dominata da una grande finestra di forma rettangolare.
La parte centrale mostra un pregevole portale d'ingresso, ricco di decorazioni, sormontato da un frontone aperto.
Il prospetto, scandito da un ritmo incrociato di cornici e paraste, è affiancato dalla torre campanaria, dove fino al 1821 si trovava una singolare campana proveniente dall'antica pieve greca, che si trovava sul piano, vicino alla dimora della potente famiglia Gaetani, recante la data del 580, come attesta Fra Saverio.
L'interno ad impianto longitudinale simmetrico ad unica navata priva di transetto, con giuochi di luce della finestra, che sottolinea i contrasti plastici del coro e dell'abside, sono ornati da stucchi realizzati nel XVIII secolo e da alcune tele, degne di rilievo, di scuola siciliana.
Ed, ancora, alcuni dipinti tra cui spicca una Sacra Famiglia (foto 41 bis), attribuita alla scuola di Pietro d'Asaro, ma che invece è legata a formule tardo-manieristiche, una Madonna Addolorata consolata da Gesù, di Francesco Guadagnino e la tela della Deposizione, ornata da sette piccole tele, attribuibile al Provenzani.
In sagrestia è un bel Crocifisso ligneo settecentesco. Nella parete destra sull'ingresso alla sagrestia, vi è una tavola tardo-cinquecentesca della "Veronica".
Infine un magnifico fonte battesimale recante la data del 1490, con le armi della Casa Aragona, analogo a quello della Chiesa di Santa Caterina.
Fin dal 1622 è sede della Congregazione del SS. Crocifisso, che cura ogni anno una solenne processione con il Cristo morto fino al Calvario.
Originariamente la Confraternita aveva sede nella distrutta chiesa del SS. Crocifisso, che si trovava nella via Piave, sotto la dimora del Marchese Specchi, che in seguito donò il Crocifisso (di detta chiesa), di sua proprietà, alla chiesa di San Nicolò di Bari, con obbligo di esporlo nella Settimana Santa. Da quel giorno la Confraternita si trasferì nell'attuale sede.

a) P. Piazza, vita di P. Gaspare Paraninfo, f.4
b) Fra Saverio Cappuccino op. cit.
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 85

 


Foto 42


Foto 22 bis - Sacra Famiglia

 

Chiesa di San Giovanni Battista


Quasi contemporaneamente ai Gesuiti, ma con minore rilevanza rispetto a loro, arrivano nel 1610 i Domenicani a Naro, ove fondano il loro 65° Convento, col titolo di San Giovanni Battista, nei magazzini della Compagnia di San Giovanni Battista, vicino alla porta Licata. Fu ristrutturata nel sec.XVIII, com'è dimostrato dalla data del 1752 apposta nel lato meridionale, dall'arch. Pietro Mammana di Girgenti. Fu ultimata nel 1778, era, quindi, decorata due anni dopo con stucchi per volere del Priore T. Gaspare Alletti, cui si deve anche la decorazione della chiesa, ad unica navata, nella volta da tre quadroni ad affresco con storie di San Domenico, realizzate da Domenico Provenzani (foto 43 tris), contestualmente alla decorazione scultorea. Di particolare interesse è la facciata della chiesa ed il prospetto lungo la via Dante, in tufo arenario, con mirabili mensole dei balconi nei riquadri delle finestre. Tutto il complesso nel corso dei secoli ha subito varie manomissioni, come l'abolizione dell'ingresso (foto 43) e della scalinata della Chiesa e la trasformazione della stessa in cappella e lo spostamento dell'ingresso del convento. Sull'altare maggiore la pregevole tela La predicazione del Battista, una delle opere più belle del Provenzani, cui il pittore palmense appose la firma (a). Lo stesso altare è opera dello scultore Calogero Vinci da Naro, progenie dell'illustre Famiglia oriunda da Palma Montechiaro (b). Espulsi i Domenicani nel 1866, il convento e la chiesa passarono alla Comunità delle Figlie della Carità dell'Istituto di San Vincenzo de Paoli di Napoli, della Casa Madre di Parigi, per opera del narese Don Antonio Lauria, Rettore dei Padri del Santissimo Redentore della Casa di Girgenti, che con atto n.175 del 22 aprile 1860, dal notaio Don Giovanni De Francisci, dotava il convento di ricche prebende, con la condizione che la Casa fosse intitolata a Maria Immacolata. Ancora oggi la chiesa ed il convento appartengono all'Istituto Immacolata Concezione.
a) G.B. Comandè, op. cit., pag. 44 e ss.
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 361

 


Foto 43 bis - Particolare altare


Foto 43 tris - San Domenico

 

Chiesa di Sant'Erasmo


La chiesa ha origini molto antiche. Si suppone che fu costruita nel luogo dove si trova oggi, riadattando i locali di un grosso magazzino degli eredi di Francesco Randazzo, con il nome di Sant'Erasmo, vescovo e martire, nel lontano 1555 (a). Mentre il convento dei Padri della Madonna della Mercede fu fondato nel 1590.
E la chiesa preesisteva. Nel 1692 fu eletta Parrocchia filiale della chiesa Madre e Don Vincenzo Bonnino fece alla Chiesa la donazione di alcune case per il mantenimento del cappellano (vedasi atti del notaio Favara). Ristrutturata varie volte, fu modellata nel 1775 per opera dei fratelli Giuseppe e Calogero Principato.
Nell'anno 1890 divenuta pericolante, fu chiusa al culto e si pensò di sconsacrarla. Ma per l'intervento di Don Antonio Cutaja, parrocchiano di fede e di gran possibilità economiche, fu ristrutturata e restituita al culto (b).L'interno è ad unica navata in stile tardo-manieristico, con archi ogivali e stucchi di discreta fattura nella volta.
Da notare un pregevole altare maggiore in legno con specchi sparsi, eseguito nel 1800 da Vincenzo Vinci da Naro (discendente da Felice Vinci, nativo di Palma di Montechiaro, che si stabilì a Naro nella seconda metà del settecento e che fu mandato a Roma per perfezionarsi nell'arte di Raffaello dal principe Tomasi di Lampedusa), ed una statua di legno della Madonna di Loreto del 1600, d'autore ignoto, una sacra Famiglia, tardo-settecentesca ed un Crocifisso di carta pesta, ottocentesco di scuola siciliana.
Si può ammirare anche la statua di legno di Sant'Erasmo, vescovo e martire, cava all'interno e quella di Santo Stefano, Protomartire. Ed, altresì, la statua di legno del Cristo risorto, opera egregia di un realismo singolare, di un imprecisato autore locale "muto".
Ed, ancora, in sacrestia si può ammirare un pregevole dipinto di Santa Lucia, opera di ignoto autore proveniente dalla diruta chiesa campestre poco distante dalla fonte di Favarelle, della quale si potevano osservare ancora le vestigia fino al tempo di Fra Salvatore.
L'esterno ha subito vari rifacimenti. Infatti, la torre campanaria, costruita nel 1694 nella parte Nord-Est e distrutta durante il bombardamento del 12 luglio 1943, è stata ricostruita artisticamente nella parte opposta della chiesa (Nord-Ovest) per opera del maestro Domenico Vinci da Naro nel 1945. Era sede della Congregazione di Sant'Erasmo (1569), sotto il titolo di Santa Maria di Loreto.

a) Cfr. atti dei Vescovi, op. cit. pag. 292;
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 292.

 


Foto 44 - Interno

 

Chiesa dei Cappuccini (Santo Spirito)


Un piccolo convento con annessa chiesa, nel luogo denominato Grotte di San Cataldo, fuori le mura della Città, in mezzo alla campagna, fu fabbricato nel 1551 dai Cappuccini, guidati da P. Luca da Naro, della potente famiglia Palmeri, originaria dalla Scandinavia, che fa risalire le sue origini a Salvatore Palmeri Miles, venuto a Naro nel 1086 al seguito di Ruggero il Normanno, con cui era imparentato, famoso per aver ucciso in duello Mulcibiade Mulé( Melk - Kelb - Mule), Barone saraceno delle terre di Ravanusa e dello Gibbesi (foto 45).
Nel 1554 per opera dei nobili naritani Ippolito Lucchesi ed Ippolito Giacchetto, si ampliò il piccolo convento, costruendone uno più grande e più solido. La chiesa ed il convento furono successivamente ristrutturati ed ingranditi nel 1690 e nel 1726.
La sagrestia fu eretta nel 1726 per opera di P. Girolamo Alletti, allora Guardiano del convento. Nel 1728 il convento fu fatto intonacare per volontà di P. Giuseppe da Naro. Fu ristrutturato ancora nel 1723 e nel 1754. La chiesa è ad unica navata longitudinale, con locali adiacenti a sagrestia. Si riscontrano ancora i resti dell'antico convento, che fanno intuire l'impianto originario, costituito da un cortile interno. Il portale in pietra tufacea, austero e semplice, costituisce l'unico elemento architettonico degno di nota.
Internamente intonacata con gessino, è priva ormai di qualsiasi pittura. La chiesa originariamente aveva cinque altari e molte opere d'arte. Nel 1866 con la soppressione delle Congregazioni religiose, il convento fu chiuso e le opere d'arte, ivi racchiuse, alcune sono andate in altre chiese, altre perdute per sempre.
Recentemente, grazie all'attiva presenza del parroco Sac. Don Filippo Barbera, sono tornate al loro posto in chiesa, tra l'altro, uno splendido altare maggiore settecentesco, in legno, che trae spunto dalle custodie cappuccine-francescane, una statua della Madonna che dorme, in cera, dentro un'urna di vetro.
Vi si conservava vicino all'altare Maggiore, in cornu Evangelis, la tomba di suor Serafina M. Pulcella, della famiglia Lucchesi, bizzocca cappuccina, morta in odore di santità nel 1673. Le sue spoglie mortali furono traslate il 2 dicembre 1939 dalla chiesa dei Cappuccini in quella di San Calogero, nella cui cripta furono deposte.
Ed, altresì, nella cappella maggiore vi era la tomba di P. Girolamo Caruso da Cammarata, monaco cappuccino, morto pure in odore di santità nel 1627, al cui processo di beatificazione partecipò il Maestro Provinciale degli Agostiniani P. Agostino Priolo, naritano, incaricato dal Vescovo Mons. Traina di Girgenti. Le sue ceneri, riesumate il 21/12/1973, sono state traslate nel convento dei Cappuccini di San Giovanni Gemini.
È stata riaperta al culto nel 1984 con decreto vescpvile del 13/3/1987 è stata dedicata allo Spirito Santo e dichiarata comparrocchiale (a). Recentemente sono venuti alla luce degli ambienti sotterranei di sepoltura dei cappuccini del 1728 (foto 47).

a) V. Gallo, parrocchie e parroci della chiesa agrigentina, Agrigento 1991, pag.123.

 


Foto 45 - Scena del combattimento


Foto 46 - Interno


Foto 47 - Catacombe

 

Chiesa di Santa Maria di Gesù


È opinione diffusa che la Chiesa ed il relativo convento, furono edificati intorno al 1470 dai frati Minori Osservanti, dell'ordine dei Mendicanti, che daranno vita, in seguito, al casale omonimo sotto l'influsso dei Francescani, utilizzando l'impianto di una precedente torre di preguardia, edificata durante la lotta contro i Turchi, al tempo di Carlo V.
Nel 1595 i locali, ampliati e ristrutturati, furono ceduti ai Padri Riformati, ad opera di Francesco da Mazarino.
La struttura originaria del convento è andata quasi del tutto perduta, a causa di diversi rifacimenti.
Detto convento, in origine sede di una comunità di oltre trenta religiosi, che tenevano una scuola di filosofia e teologia, è completamente inglobato nelle abitazioni circostanti.
In esso dimorò per molti anni Fra' Giovanni Pantaleo, dei Padri Riformati, prima di seguire Garibaldi ed i Mille, aderendo al proclama del Generale indirizzato ai buoni preti del 14 maggio 1860, assieme al quale il 17 settembre 1860 entrò a Napoli, nella sua stessa carrozza (a).
Secondo il Pitruzzella, la sua cella era visitabile fino al 1912, in seguito, purtroppo, è stata inglobata in una abitazione privata.
Del bellissimo chiostro, rimangono, molto degradate, le vecchie superfici ad intonaco ed a faccia vista del colonnato, coperto da volte a crociera, impostate su eleganti arcate su piedistalli di stile rinascimentale, alti quasi un metro ed hanno una singolare base quadrangolare che funge da piattaforma per lo slancio di ciascuna delle colonne del chiostro.
Ed, altresì, l'antico pavimento del chiostro in mattoni pieni di laterizio rossiccio, venuto alla luce durante i lavori di manutenzione dei locali annessi alla chiesa nel 1986 (Cfr, Giornale di Sicilia del 14.03.86).
Ma ancora in buono stato è il lato sud-ovest, coperto con volte a crociera su ampi archi a sesto pieno.
La chiesa, distrutta completamente nel 1781 da un incendio, venne rifabbricata da Calogero e Giuseppe Principato con il contributo economico dei cittadini e di Don Francesco Torricelli Leonardo.
Attualmente la chiesa, dalla fine del secolo XVII, si presenta ad impianto longitudinale ad unica navata con abside semicircolare, cappelle laterali e nicchie, che modulano con grande effetto l'interno in stile tardo manieristico, trasformato ed alterato a seguito di diversi interventi di restauro.
In essa si conservano alcune statue lignee: un San Diego e un Sant'Antonio di Padova, di ascendenza manieristica, nonché un San Francesco di gusto barocco (foto 49).
Ed, altresì, una Madonna con il Bambino, statua quattrocentesca in marmo, un Crocifisso ligneo a grandezza naturale, opera egregia di Frate Umile da Petralia Soprana, al secolo Gianfrancesco Pintorno (1588-1639), che questa chiesa poté avere per intercessione di Fra Bennardino da Naro, frate del medesimo ordine e molto legato al Pintorno da grande amicizia.
Grande figura di artista e di santo quella del Pintorno, che giace umilmente sepolto nella chiesa di Sant'Antonino di Palermo. Amò Cristo fino allo spasimo, tanto da scolpire ben 33 crocifissi, quanti gli anni di Cristo (b).
Ed, ancora, si possono ammirare una sedia dell'officiatura, di gusto eclettico ed un fonte in marmo per acqua benedetta, di Antonello Gagini (sec.XVI).

a) G. Di Giovanni, Naro-itinerario monumentale, Agrigento 1981, pag. 48
b) S. Pitruzzella, op. cit., pag. 110

 


Foto 48 - Foto d'epoca


Foto 49 - San Francesco

 

Chiesa della Madonna del Lume


La sua fondazione, con il nome di Maria SS. del Lume nel Lazzaretto, risale alla prima metà del 700' per opera di P. Giovanni Battista Timpanaro ed apparteneva ai Padri Francescani (a).
Fu ristrutturata nel 1738 e nel 1810, l'anno è inciso nel portale esterno sopra la porta, quando fu eretto il coretto. L'interno, ad aula piccola, presenta stucchi e cornici ben rifiniti.
Si può ammirare la Madonna del Lume, interessante complesso statuario in legno (foto 50), formato dalla Madonna che sulla mano sinistra sostiene il Bambino, mentre con la destra afferra per un braccio un peccatore che sta per cadere all'inferno.
La facciata semplice, mette in risalto il pregevole portale di pietra da taglio, finemente scolpito.
È stata eretta parrocchia con decreto vescovile dell'1 gennaio 1959 (b).

a) Fra Saverio, op. cit. pag. 298
b) Archivio della Curia vescovile di Agrigento.

 


Foto 50 - Statua della Madonna del Lume

 

 

Ex Oratorio di Santa Barbara


La sua fondazione risale al 1336 ed è attribuita alla Confraternita sotto lo stesso titolo, annessa al convento di San Francesco, dal quale ebbe un pezzo di terreno del suo orticello per erigervi l'oratorio.
Dell'esterno si ammira il portale d'ingresso, dove fanno spicco le colonne doppie a rilievo e l'architrave ornato di fini intarsi (foto 51).
La facciata in pietra da taglio tufacea a faccia vista, con cornici e riquadri nelle aperture, presenta un pregevole portale di conci di pietra di malta bianca in contrasto con il tufo arenario, che predomina nel prospetto e nell'architettura narese in genere.
Si presenta ad unica navata, modulata da pilastri addossati alle pareti laterali, da cui dipartono le arcate trasversali d'irrigidimento della volta a botte.
Internamente povera d'architetture, si presenta spoglia e priva di decorazioni.
Del suo ricco patrimonio artistico restano solamente una statua di legno dorato, a grandezza naturale, raffigurante Santa Barbara, vergine e martire, opera di scuola siciliana del 1500 (a), una statua lignea di San Giovanni Battista, opera della fine del 1400, una Madonna delle Grazie del 1479, opera di Giorgio da Milano, della scuola del Gagini, che fino al 1543 fu la Patrona della Città di Naro, tutte opere che si conservano nella chiesa di Santa Caterina.
Un tempo nella medesima aveva sede la Congregazione dei Cavalieri e, poi, dei contadini, ortolani ed artigiani (b).
Splendido oratorio fino ad alcuni anni fa, adesso è un salone parrocchiale in stato d'abbandono.

a) S. Pitruzzella, op. cit., pag. 89
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit.

 


Foto 51 - Antico prospetto


Foto 51 bis - Antico prospetto

 

Chiesa di Sant'Antonio Abate


La Chiesa, costruita vicino al Duomo con il quale ha condiviso la sorte dell'abbandono e dell'incuria, ha origini molto antiche.
La sua fondazione si fa risalire al tempo, in cui vennero a Naro i Canonici Regolari di San Giorgio in Alga (sec.XVII) (a).
A seguito di una frana, fu restaurata nel 1679. Il bel portale barocco in pietra bianca a faccia vista è del 1706.
Internamente era ad unica navata.
Fu ristrutturata nel 1775 da Mastro Antonio Carletto.
Rovinata nel 1908 per il terremoto, fu chiusa al culto nel 1929. Al suo interno aveva cinque altari e diverse opere d'arte di un certo rilievo, alcune delle quali oggi si possono ammirare in varie chiese.
Recentemente, a seguito di restauro, si è tentato un recupero, che lascia intravedere le suggestive bellezze che possedeva.
In un ambiente, dietro l'altare Maggiore, adibito a camera asciugatoio, in cui erano appesi i cadaveri a scolare, è venuto alla luce un altare magnificamente affrescato, sul davanti, di cui restano però poche tracce (foto 52). Era sede della congregazione dei cavalieri, poi dei contadini, la più antica di tutte le Confraternite.
a) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 351 e ss.

 


Foto 52 - Altare

 

Chiesa di San Paolo


Non si conosce con esattezza l'anno della sua fondazione. Si dice edificata, trasformando un magazzino della famiglia Timpanaro, prima del 1685, anno in cui fu elevata a Parrocchia filiale. Nel 1760 stava per crollare e fu risanata con il contributo economico dei Fratelli della Congregazione (di San Paolo), quando furono costruite anche le due cappelle di San Paolo e di San Giuseppe. Nel 1784 dai maestri Giovanni Farruggia, Calogero Viccica e Mario Principato furono ripresi la facciata e la porta maggiore ed innalzato il coro.
Tra il 1803 ed il 1809 fu completata e decorata con stucchi da Tommaso Fasulo (a).
L'impianto è ad aula semplice con piccolo coro d'ingresso e torre campanaria contigua alla facciata principale. La copertura è a botte con archi trasversali originati da paraste laterali.
Di particolare interesse è un'edicola lignea contenente un'urna con Cristo crocifisso morto, di pregiata fattura, tardo-cinquecentesco, di stile manieristico, proveniente, come attesta Fra Saverio, da una chiesa campestre detta a casazza, rovinata nel 700'.
Detto Crocifisso, concesso per contratto stipulato dal priore della Collegiata D. Francesco Costa alla chiesa di San Paolo, con il nome di Lazzaro, in epoca alquanto recente, era solennizzato la Domenica prima di Pasqua, dai Fratelli della Congregazione (contadini), con una singolare processione.
Vi si conserva, altresì, un pregevole dipinto con l'Addolorata (foto 53), di Fra Felice da Sambuca, al secolo Gioacchino Viscosi.
a) Fra Saverio cappuccino, op. cit. pag. 299 e ss.

 


Foto 53 - L'Addolorata

 

Chiesa di Gesù Maria e Giuseppe


Si dice che la primitiva Chiesa fu fondata nel 1651 per merito di Don Bartolomeo Barbara, nobile naritano. Quel che è certo che la chiesa è dei primi del Settecento ed apparteneva ai Gesuiti.
Nel 1741 fu restaurata e nel 1774, dopo l'espulsione dei Gesuiti, la chiesa e l'annesso giardino passarono sotto la giurisdizione di Ferdinando IV, re di Napoli e di Sicilia.
Nel 1943 fu distrutta da un bombardamento aereo. Ricostruita nel 1950, si presenta, ora, ad aula semplice, piccola, con altare e qualche statua. Molto interessante il prospetto principale con portale finemente lavorato, completo armonicamente dalla facciata con due belle bifore, con esile colonnine e dalla torre campanaria (foto 54).

 


Foto 54 - Prospetto

 

Chiesa di Santa Caterina


È il più artistico esempio di architettura d'epoca normanna, un fine gioiello di stile gotico-normanno, a cui gli artisti siciliani seppero dare un'impronta originale ed un gusto da caratterizzare uno stile ed un'epoca.
Nonostante la mancanza di notizie sicure, è opinione diffusa, tra i maggiori studiosi, che essa fu edificata da Matteo Chiaramonte, Conte di Modica e Signore di Naro dal 1366, per volere di Federico III°, detto il Semplice, a seguito della pace di Castrogiovanni, tra la fazione latina (i Chiaramonte, i Ventimiglia, i Rosso, i Lancia e i Palizzi) e l'altra di origine catalana (i Moncada, gli Aragona, i Valguarnera) che si disputavano il dominio dell'Isola. Osservando le strutture interne, si può ipotizzare che la Chiesa fu edificata sui resti di un Tempio musulmano, che fu restaurato, ampliato ed arricchito di ornati.
Dell'antica costruzione rimane l'impianto generale a tre navate, con absidi, scandite da archi ogivali sorretti da massicci pilastri cilindrici (foto 55). La navata centrale è formata da due profonde campate, che ricevono luce da numerose finestre lunghe e strette a sesto acuto.
L'abside centrale, con volta a crociera costolonata, sorretta da quattro pilastri angolari con capitello, riceve luce da una finestra strombata a feritoia, posta sopra l'altare, d'ispirazione federiciana e presenta un'interessante arco d'ingresso in stile chiaramontano e due bifore tribolate, mentre le due absidi laterali presentano fastosi archivolti.
Originale è pure il soffitto ligneo a capriate, un tempo dipinto, che richiama quello coevo della chiesa agrigentina di Santa Maria dei Greci. Sulle pareti e nelle absidi laterali sono ancora visibili resti di affreschi trecenteschi, che raffigurano la Madonna con il Bambino e San Michele Arcangelo, attribuibili a Cecco da Naro, il famoso pittore del 1300 che, con Simone da Corleone e Pellegrino Darenu da Palermo, affrescò il soffitto della sala Magna dello Steri di Palermo, l'Hosterium Magnum (Palazzo fortificato), della potente famiglia dei Chiaramonte, voluto da Manfredi III° (a).
La Chiesa fu rimaneggiata nel 1725. A seguito di restauri eseguiti nel 1935-40, per interessamento del Conte Alfonso Gaetani, benemerito della Città di Naro anche per altre opere, e, di nuovo, nel 1959 dalla Soprintendenza ai monumenti, sono state ripristinate le strutture originarie. Il prospetto, risalente all'intervento settecentesco, quando fu rinnovata la porta maggiore e rifatto il portale, è caratterizzato da scialbe formule tardo-barocche.
Con il recente ulteriore intervento di restauro e di rifacimento del pavimento, è venuto alla luce un vano con, al centro, una fossa adibita a sepoltura e lungo i lati delle pareti diverse sedie-scolatoio, testimonianza dell'esistenza di un ambiente adibito a sepoltura. Ben poco resta del ricco patrimonio artistico che si conservava nella Chiesa.
Attualmente si possono ammirare: un fonte battesimale del 1400, in marmo, in un unico blocco, con lo stemma degli aragonesi e quello della Città di Naro, la ruota, simbolo del martirio di Santa Caterina d'Alessandria e le Chiavi della Chiesa; il così detto Arco Romano, d'ispirazione rinascimentale (1565), dove sono scolpite scene della Via Crucis, scene di vita monastica, lo stemma della Confraternita di Sant'Antonio ed un ovale con croce, proveniente dalla diruta chiesa di Sant'Antonio, con alle basi i medaglioni, probabilmente, dei due Scipioni o, forse, degli ecisti (fondatori) della Città, la quattrocentesca Pietà, dovuta allo scalpello del gaginesco Giuliano Mancini, proveniente, anch'essa, dalla chiesa di Sant'Antonio, di cui colpisce il realismo del volto di Maria, simile alla pietà del Gagini, che si trova a Soverato Alta (CZ) ed la Madonna delle Grazie (1497), che fino al 1543 fu la Patrona di Naro, attribuibile a Giorgio da Brigno, da Milano, di scuola gaginesca, proveniente dall'oratorio di Santa Barbara. Ed, ancora, un Crocifisso ligneo del 1300, racchiuso in una artistica bacheca e due statue lignee raffiguranti Santa Caterina e Santa Barbara, provenienti dalla Chiesa omonima, che risentono ancora di formule gaginesche. All'ingresso, due acqua-santiere di gusto chiaramontano. La Chiesa fu eretta a Parrocchia nel Febbraio del 1542, dal vescovo Don Pietro D'Aragona Tagliavia. È stata dichiarata Monumento Nazionale nel 1912.
a) Andrea Chiaramonte, ottavo Conte di Modica ed ultimo discendente della più nobile famiglia siciliana, fu decapitato il 1° giugno 1392 davanti lo Steri, che dal 1446 divenne la reggia di Re Martino I° e dal 1601 al 1782 ospiterà il Santo Ufficio dell'Inquisizione.

 


Foto 55 - Interno

 

Chiesa del Carmelo


Fu edificata assieme al convento, di cui si mantiene la struttura, trasformata all'interno in abitazione civile, e parte del chiostro, sul sito di un preesistente chiesino, dal titolo di San Pietro, Principe degli Apostoli, sul finire del XV secolo, presumibilmente nel 1478, anno in cui i Carmelitani giunsero a Naro, per opera del MRR Padre Girolamo Guagliardo da Naro, grazie alla concessione del terreno da parte dei giurati di Naro, con atto di concessione datato 9 Novembre 1478, conservato in Municipio, ed alla donazione di 200 scudi fatta dal Re Filippo II, il Cattolico, a ridosso delle mura, la cui posizione è dominante rispetto al territorio vastissimo a sud.
Tale posizione felice garantisce, inoltre, il controllo della campagna sottostante e rappresenta un passaggio obbligato per la presenza della Porta Annunziata e si proietta su un piano di futura espansione fuori le mura, che si attuerà in quella direzione alla fine del XVI secolo.
Il convento, in cui dimoravano trenta religiosi, era detto anche delle giummarre, perché nel giardinetto, all'interno dello stesso, esisteva vicino ad uno specchio d'acqua un piede di palma silvestre, cioè giummarra (a). Fu ristrutturato nel 500', nel 600', nel 1764, (la costruzione del Coro), nel 1772, quando fu demolito l'atrio d'innanzi l'entrata, e nel 1815, quando era Priore P. Alberto Formica, ad opera dei Maestri Giuseppe Alaimo ed Onofrio Miano e del perito intagliatore Mario Principato.
La torre campanaria è stata rifatta nei primi del sec. XIX, mentre l'altare Maggiore fu decorato dal Maestro Stefano Rugiano e stuccato da Francesco Santalucia, come attesta Fra Salvatore.
Il semplice portale in pietra viva, unico elemento di rilievo del prospetto, risale al 1612 (foto 56).
L'interno, con riminiscenze tardo-cinquecentesche, ad impianto longitudinale ad aula unica, senza transetto, con abside quadrangolare (forse antica torre di preguardia) con cappelle laterali e nicchie ricavate nello spessore dei muri perimetrali, mostra alcune notevoli statue lignee, tra cui il Profeta Sant'Elia, che calpesta la testa della regina Gezabele, del palermitano Nicolò Bagnasco, la Madonna del Carmelo con il Bambino e San Domenico del sec. XVIII (foto 57), che si riallaccia alla tarda scuola gaginesca e San Giuseppe con il Bambino, scultura settecentesca, in gesso, di gusto rococò ed, altresì, il dipinto di San Domenico in gloria del 1780 di Domenico Provenzani, Tabernacolo con il Cristo morto, dipinto attribuibile a Fra Felice da Sambuca, olio su tela del sec. XVIII e L'Addolorata, olio su tela ovale del sec. XVIII.
In sagrestia armadi scolpiti dal Maestro Francesco Vaccaro da Naro e dall'agrigentino Rocco Cardellicchia, un'artistica porta in ferro battuto del sec.XVII ed un tronetto in legno dorato delsec.XVIII, una volta! (b).

a) Fra Saverio Cappuccino,op.cit.p.270 e ss.
b) Idem

 


Foto 56 - Gruppo della Madonna del Carmelo


Foto 57 - Prospetto

 

Il Calvario


Un Calvario fu fatto erigere nel 1619 per volontà di P. Gaspare Paraninfo, della compagnia di Gesù, con il generoso contributo di Don Ottavio Specchi, Cavaliere di Malta, Don Giovanni Tropia e Don Lorenzo Piaggia e di tutto il popolo narese, fuori le mura, nel luogo ove si può ammirare ancora oggi (a).
Ristrutturato varie volte nel corso dei secoli, nel 1925 venne ricostruito per opera del Comm. Giovanni Filì ed, ancora restaurato, dalla di lui moglie, Ignazia Dispinseri nel 1960, quando fece costruire anche la grande Croce in legno e la ringhiera in ferro battuto, opera egregia di Ferdinando Rizzuto, esperto artigiano locale (b).
Il monumentale calvario si presenta oggi come uno dei più completi ed armoniosi nella struttura della diocesi (foto 58).
Nel 1630 il Vicario Generale, Don Antonino Bichetta, concesse alla chiesa di Sant'Antonio Abate, i cui ruderi si possono ancora ammirare vicino al Vecchio duomo, di solennizzare il Sepolcro il Giovedì Santo.
E da allora il Calvario, durante la settimana Santa, resta il luogo di pellegrinaggio e di preghiera da parte dei fedeli.
Da parecchi anni il giorno del Venerdì Santo, diventa il sito della sacra liturgia della Scinnenza Cruci, rappresentata con personaggi in costume.
Il complesso monumentale si presenta in stile baroccheggiante, con due scale aggettanti in ferro che si intrecciano fino ad arrivare alla base della grande croce centrale, racchiusa da una piccola recinzione in ferro, con accanto, fra due alberi di cipressi, le altre due croci, poste ognuna su un grande piedistallo.
Al piano terra vi è una cappelletta, dove la notte del Giovedì Santo viene vegliato, per tutta la notte, il simulacro del Cristo morto, dai confrati del SS. Crocifisso, con nenie e canti di dolore, chiamati lamienti (una volta!).
Il sepolcro è racchiuso da alte mura con cancello in ferro, mentre tutto l'organismo monumentale è circondato da ringhiera in ferro chiusa da un grande cancello.

a) Cfr. Fra Saverio Cappuccino, op. cit
b) Francesca Marsala, La Città di Naro, Agrigento 1973, pag. 57-58

 


Foto 58

 

 

Le Catacombe


Sono disseminate in varie zone vicino l'abitato: in contrada Canale, Coperta, Donnaligara, Rio e Val Paradiso, Fontana di Rose, Muggiarra, formando un complesso catacombale che potrebbe costituire un primo nucleo di parco archeologico.
In seguito ad opere di scavo vennero alla luce dei sepolcri incavati nella roccia, dotati di vasi attribuiti all'età greco-sicula.
Da un esame attento è stato stabilito che le scavature ed i vasi si succedono in una disposizione diacronica. Differendo da sepolcro a sepolcro, infatti, è stato ritenuto che la loro realizzazione era da collocare tra l'età della pietra e la colonizzazione greca attraverso l'età del bronzo e del ferro (a).
Nella contrada Coperta, si possono rintracciare resti di un centro urbano con materiale dal IV al V secolo a.C.
In contrada Paradiso si potrebbe celare, secondo alcuni studiosi, una zona archeologica di grande importanza.
Disseminati sul terreno si possono notare frammenti di ceramica, blocchi di pietra squadrati databile dal IV al II sec. a.C., resti forse di un impianto di età romana imperiale.
Nella contrada Rio alcune tombe sono andate perdute, resta qualcuna in pessime condizioni.
Un'altra chiamata l'Ammirabile è andata distrutta durante i lavori del troncone ferroviario Naro-Canicattì nel 1906.
Il gruppo più importante e meglio conservato è quello delle catacombe esistenti nel costone meridionale, in contrada Canale (b).
Questo gruppo è caratterizzato da un lungo corridoio centrale con ingresso da Sud, preceduto da dromos, lungo le pareti si aprono nicchie, in cui sono collocate le sepolture.
La più grande (ipogeo A) è conosciuta da sempre con il nome di Grotta delle Meraviglie (foto 59), esplorata dal francese Houel (1782), da due studiosi tedeschi J.Fuehrer e V.Schultze (1872), dal Cavallari (1879),dal Salinas (1896), fino ai naresi Domenico Riolo (1897) e Salvatore Pitruzzella (1938). Essa è preceduta da un lungo dromos, che si allarga in un'area semicircolare,alla quale si accede mediante un ingresso aperto nella parete del dromos. L'ipogeo "B" è contiguo al gruppo "A", con il quale comunica mediante un'apertura nella parete del dromos. L'ipogeo "C" conserva l'arco d'ingresso, con corridoio centrale,ai cui lati si aprono diverse nicchie con camere ipogeiche ed arcosoli a letto singolo e bisomi (foto 60).
Conserva diverse sepolture, ancora intatte, con lastre di copertura (foto 59). L'ipogeo "D" si trova poco distante dagli altri. È in pessime condizioni per diversi crolli. La datazione è del IV-V sec. a.C. Tutta la zona Canale, scavata ed esplorata in maniera sistematica, potrebbe rilevare altre catacombe, che potrebbero nel complesso costituire un grande parco archeologico, davvero interessante.
Dal punto di vista artistico la necropoli è poco importante, mentre dal lato storico attesta che Naro già esisteva all'epoca cristiana ed il culto di Cristo pare che debba rimontare all'anno 50 dell'era volgare ai tempi di San Libertino, vescovo di Agrigento, mandato in Sicilia con Pancrazio, Filippo e Berillo, dal Principe degli Apostoli, a divulgare la fede di Gesù Cristo. È evidente che dalla dominazione romana alla conquista bizantina, Naro, da Statio per il ristoro di uomini e di cavalli, divenne un fiorente villaggio, con un numero di abitanti alquanto elevato, se si vuol considerare come testimonianza questo vasto cimitero paleocristiano di contrada Canale.
Ed ancora, numerose tombe nelle aree Serra Furore, Castellaccio, Siritino, Deli, (foto 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67).
Nella contrada Noce, dove alle sepolture dell'età del bronzo si aggiungono tombe paleocristiane, nella contrada Poggio Bisacce, dove resti di tegoloni attestano nel sito la presenza greca. Ed, altresì, al periodo ellenistico-romano pare che debba essere riferita la struttura di una villa, scoperta in circostanze fortuite lungo la strada costruita sulla vecchia linea ferrata a sud di Naro, vasto complesso che ancora oggi attende di essere scavato (c).
a) Cfr. Raccolta di antichità agrigentine, di A. Cristoforo Andreazzi, Roma 1798, tav.XXXIII, pag.20;
b) Mariano Armellini, Gli antichi cimiteri cristiani di Roma e d'Italia, Roma 1893, pag.735;
c) E. De Miro, in atti della tavola rotonda..etc. op., cit., pag.123

 


Foto 59 - Ingresso


Foto 60


Foto 61


Foto 62


Foto 63


Foto 64


Foto 65


Foto 66


Foto 67

 

Le mura e le porte urbane


Naro,come tutti i comuni del periodo medievale, era chiuso da una cinta di solide mura merlate, la cui costruzione si fa risalire al 1263. Furono rafforzate nel 1482 e delimitavano un'area pressoché romboidale.
Nel suo perimetro erano valide opere di difesa militare, la torre della collegiata (Duomo), la torre di San Secondo, la torre della Fenice (in corrispondenza dell'odierna Via Madonna della Rocca) e la Torretta.
L'unico reperto ben visibile delle mura è la porta Vecchia (foto 68 e 68 bis), che testimonia il sistema costruttivo realizzato in pietra con arco ogivale ed eleganti merlature.
La cinta muraria, di cui il tracciato originale c'è dato da un dipinto del XIV secolo, conservato nel Santuario di san Calogero, era controllato da sette Porte, simili alla Porta Vecchia.
Le porte d'accesso alla Città nella parte alta erano: Porta della Fenice, Porta San Giorgio (nei pressi del castello), Porta Vecchia (nell'odierna via omonima) o Porta d'Oro, per il colore delle monete circolanti nel vicino ghetto degli Ebrei e per il frumento che ne entrava e che proveniva dalle ricche terre sottostanti, attraverso la reggia trazzera dei Molini, che metteva in comunicazione Naro e la parte nord-orientale della Comarca.
Molto importanti sono le porte della zona bassa, perché ognuna immetteva da una parte verso la campagna circostante, tramite trazzere e dall'altra immettevano in veri e propri assi stradali.
La porta Sant'Agostino, ex Porta Palermo, ad Ovest, che mutò nome dopo l'erezione del Convento agostiniano, che segna l'imbocco della Via Laudicina, con in fondo il convento dei frati agostiniani, a sud la Porta Girgenti all'inizio della via Lucchesi in asse con il castello ed il duomo; Porta Trinità, che nel 1480 muta il nome in porta Annunziata per l'erezione del nuovo convento e della Chiesa del Carmelo, all'inizio della via Specchi e la Porta Licata, aperta nel 1377 per volere di Matteo Chiaramonte, segna l'inizio di quello che dal seicento in poi diventerà l'asse stradale più importante di Naro, cioè la via Maestra e dei Monasteri, l'odierna via Dante Alighieri.
Fino al 1810, nel giorno dell'Ascensione, una singolare processione, che aveva inizio dalla Chiesa della Madonna della Rocca, percorreva la cinta muraria per la benedizione delle mura (a).

a) Fra Saverio Cappuccino, op., cit.

 


Foto 68 bis

 

Palazzo Malfitano e Museo della Grafica


Le strutture originarie di quest'antico Palazzo Malfitano, dei Signori di Giacchetto, risalgono al secolo XV. Con l'annesso ex ospedale di San Rocco (in seguito chiamato Umberto I) costituisce un vasto quadrilatero ricadente tra la Via Piave (una volta via Mazziotta Lauricella), Malfitano, Lucchesi e Vitt. Emanuele (una volta via Martorelli, delib. C.C. n. 18 dell'11.05.1861), sul quale ricade il prospetto principale.
Esso costituisce un esempio illustre dell'architettura civile della Città di Naro.
Il Palazzo fu donato da Donna Antonia Notarbartolo, marchesa di Malfitano e discendente dei Giacchetti, dopo che i Minori Conventuali elevarono l'attuale chiesa di San Francesco, che toglieva al palazzo la visuale del mare e della vallata, alla città per alloggiarvi delle religiose che dovevano educare le fanciulle d'ogni ceto nella fede ed in ogni genere di lavoro femminile.
Nel 1749 l'impegno fu assunto dalle suore del Collegio di Maria, ordine istituito dal Cardinale Corradini a Sezze, che ebbe molta diffusione in Sicilia.
Così divenne Collegio di Maria, per opera di Mons. Lorenzo Gioeni, Vescovo di Agrigento(a).
Dichiarato monumento nazionale, il palazzo comprendeva anche la chiesa di San Rocco, con l'annesso ex ospedale, fondato nel 1544 per opera di Mazziotta Lauricella, dei Signori di Giacchetto, per la cura dei pellegrini ed ammalati poveri, dotandolo di ricche prebende.
Era amministrato da quattro rettori laici ed era sede di un'arciconfraternita d'artigiani e di sacerdoti, con il titolo di S. Maria degli agonizzanti, con lo scopo di badare al seppellimento dei defunti poveri dell'ospedale ed alla ricerca dei cadaveri d'indigenti, che si rinvenivano per strada. Ristrutturato varie volte, nel 1676 (tetto di tavole), nel 1772 (doppia scala con passamano di ferro), nel 1776 (da Francesco Santalucia) e nel 1793 (da D. Giuseppe Vaccaro).
Era famoso sia per la ricchezza dell'edificio, sia per la bravura di molti medici e chirurghi, che vi prestavano la loro opera gratuitamente(b).
Tutto il fabbricato risente dell'influsso spagnolo, definito catalano, per lo stile e la varietà delle soluzioni spaziali, costruttive e decorative.
Presenta elementi architettonici della migliore tradizione costruttiva siciliana, nel portale a piano obliquo, nel basamento esterno, nell'apertura incrinata e nel contrafforte angolare.
Di notevole interesse una magnifica finestra angolare con piattabanda, molto rara per la difficile condizione di staticità cui è sottoposta, vera genialità d'arte e di tecnica costruttiva, conservatasi benissimo durante tanti secoli.
La sottile colonnina è puramente ornamentale. Il frontone, molto pesante, si regge da se, mediante un ingegnoso sistema d'archi interni, connessi fra loro in modo tale che la risultante della forza centrale è non solo equilibrata, ma superata dalla risultante della forza laterale (c).
Il collegio fu chiuso nel 1914 per mancanza di fondi e l'ultima moniale, suor Crocifissa, fu ospitata dalle Suore dell'Istituto Immacolata Concezione.
Fu adibito, quindi, a pretura, a scuola ed a civile abitazione. Nel 1963 fu riaperto da suor Felicita, ma, causa alcuni locali pericolanti, alcuni anni dopo fu definitivamente chiuso.
Recentemente è stato restaurato per destinarlo ad attrezzatura Polivalente (Museo della grafica, del libro antico, del costume, etno-antropologico, etc.), di cui già una sezione,quella della Grafica, è stata inaugurata l'11 giugno 2000, con vivo successo di critica e di pubblico.
Il Museo dell'arte grafica di Naro (foto 69), voluto fortemente dal Maestro Bruno Caruso, dal Sindaco Dr. Giuseppe Morello e dal Prof. Giuseppe Camilleri è un importante evento culturale ed una validissima realtà strutturale per altre lodevoli iniziative.
Il Polo museale nato in un piccolo centro della Sicilia, assume rilevanza anche a livello nazionale perché viene organizzato e gestito, per la prima volta, da un'Ente locale. La stessa struttura, collocata nel cuore del centro storico, si pone come richiamo per turisti e visitatori.
Consta di una donazione di oltre 244 opere provenienti per la maggior parte dallo stesso Maestro Bruno Caruso (foto 70), (di cui 24 dello stesso Maestro), che costituisce il nucleo originale della prestigiosa raccolta, sia dalle successive acquisizioni di donazioni di altri insigni artisti, galleristi e collezionisti.
Le opere catalogate risultano così rappresentate: 121 acqueforti, 7 punte secche, 10 acquetinte, 85 litografie, 8 serigrafie, 4 xilografie.
A queste opere si aggiungono 9 tavole originali di incisori dal 600 all'800: Ulisse Aldovrandi (4), Rembrandt (1), Bartolomeo Pinelli (1), Hondius (1), Goya (1), Dorè (1), che rendono il museo ancora più interessante (d).

a) Cfr. Archivio della Curia Vescovile, atti dei Vescovi, f. 682;
b) Maria Riolo Cutaja, op. cit. pag. 76;
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 96/97;
d) Cfr. Città di Naro - Museo della Grafica: segni grafici a Naro dal '600 ad oggi, CL.2000

 

 


Foto 69 - Interno


Foto 70 - B. Caruso: Calice con corallo

L