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Lillo
Novella - NARO, Leggenda arte tradizione
- Edizione a cura dell'Amministrazione Comunale -
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ARTE
Il
castello
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forse il monumento più famoso di Naro (foto n. 26/26 bis e
26 tris), la cui storia s'identifica con le sue vicissitudini. Si
può affermare che il castello è la stessa ragione d'essere
della Città, perché senza di esso, forse, Naro non sarebbe
stata una realtà od il suo divenire avrebbe avuto altre manifestazioni.
Il sito fu certamente scelto non solo per le sue caratteristiche di
difendibilità, ma per quelle connesse con il controllo dell'ampia
e ferace vallata. Per cui, sotto gli Arabi prima e sotto i Normanni
ed i Chiaramonte dopo, il Castello assunse non solo la difesa militare
limitata alle esigenze locali, ma anche quello d'elemento fondamentale
per la struttura e l'organizzazione territoriale di un vasto comprensorio
inserito, in altre parole, nel sistema di controllo dell'isola, quale
presidio territoriale strategico.
Tale posizione, mantenuta ed accresciuta nei secoli, fece sì
che Naro, crogiolo di civiltà, di storia e d'arte, ed il suo
Castello diventasse teatro d'importanti avvenimenti, alcuni dei quali
hanno perfino inciso sulla storia dell'Isola. Imponente nel suo profilo
di pietra gialla, il Castello sembra vigilare ancora oggi sia sulle
vecchie case dell'antico "borgo", quasi accucciate sotto
le possenti ali del vecchio Maniero, sia sugli edifici della parte
nuova della Città evocando, immoto testimone, immagini che
conservano intatto il sigillo del tempo.
Percorrendo il lastricato della via Archeologica che inizia dirimpetto
al convento delle Suore di Carità od ascendendo la spettacolare
scalinata completa di n. 156 scalini, realizzata nel 700, antistante
il Duomo Normanno, si giunge ai piedi del "Mastio-Dedalico",
com'era anche chiamato in epoca lontana (foto n. 26), poi detto comunemente
dei Chiaramonte, dal nome dell'antica e nobile famiglia che governò
Naro per più di un secolo, discendente da Federico Chiaramonte
dei Clermont di Piccardia d'Auvergen, che aveva sposato Marchisia
Profolio dei Signori di Ragusa e Conti di Caccamo.
Secondo alcuni storici e fra essi Pancrazio, Polieno, Frontino e Placido
Palmeri, la suo origine è leggendaria. È collocato nell'età
di Cocalo, il mitico re dei Sicani, di cui era la primitiva fortezza
(a).
Quel che è certo che preesisteva alla conquista degli arabi,
che lo ingrandirono e lo fortificarono. Ospitò varie volte
Federico II d'Aragona, che nel 1330 vi fece aggiungere la massiccia
torre quadrata,alta m. 21 e larga per ogni facciata m. 13, come testimonierebbe
lo stemma araldico della Casa Aragonese sul lato occidentale della
facciata.
Fu rimaneggiato in epoca chiaramontana, quando Matteo Chiaramonte
ottenne la Signoria di Naro. Sembra che nel periodo arabo le dimensioni
del castello siano state più estese, fino ad arrivare al Vecchio
Duomo, allora moschea, con un ampio circuito di mura che arrivava
alla casa del conte Arrigo Rosso di San Secondo, vicino la porta Vecchia
e, si dice, che poteva ospitare una guarnigione d'otto mila uomini.
Pare che nell'anno 828 sia stata sede dell'emiro Salem, il fondatore
di Salemi, messo a governare con mille uomini dall'emiro Abu Dekak,
che aveva già conquistato Naro nel marzo dell'828 (b) e nell'anno
829 dall'emiro Abd Allàh el Chalid ben Jshak. Ed, in seguito
dall'emiro Ibn Al Abbas, che talvolta ricusò il denaro e volle
piuttosto uomini, (M. Amari, op. cit., pag.175), del Kaid Alì-Ibn-Hawwas.
Dal 1081 al maggio 1089 rimane sotto la signoria di Ibn-el-Werd, Signore
di Girgenti, Siracusa, Noto e Catania.
Le cronache dicono di lui che scannò i prigionieri e fin le
suore di un convento trasse nello harem di Siracusa. Lo spavaldo arabo
muore, annegato, combattendo contro il Gran Conte.
A questi succede l'emiro Al Qasim ibn-el-Hamud, l'ultimo Signore arabo
di Naro. Anticamente isolato in un pianoro, domina tutta la città
e la ferace vallata. Munito d'alte mura, si articola intorno ad un
ampio cortile non accentrato e tutto intorno una serie di vani, un
tempo adibiti a scuderie ed abitazioni degli armigeri.
È costruito con elementi decorativi in pietra da taglio a faccia
vista. La torre quadrata rivestita con accurato paramento murario
in conci squadrati, presenta sul lato N-E due belle bifore archiacute,
le cui due colonnine di marmo sono state sottratte (c), con grave
danno, perché, uniche finestre di epoca chiaramontana della
prima metà del trecento, poggiate su una grossa cornice, che
delimita i due ordini.
A mezzo di una scala rampante ed attraverso un bellissimo portale
ogivale, artisticamente decorato con motivi chiaramontani, si accede
al Salone della Torre, in altre parole alla cosiddetta Sala del Principe
o dei Baroni, illuminata dalle bifore succitate, con copertura a botte
a sesto acuto, formata da blocchetti di pietra arenaria, proveniente
da una cava, da qualche tempo abbandonata, esistente in contrada Donato,
rinforzata da un arco mediano traverso, sistemato su pilastri semicircolari
a base semiottagonale e capitelli floreali.
Sopra di questa, salendo per una scala di pietra, vi è un porterra,
ornato di muraglia merlata, ove nell'angolo di levante e mezzogiorno,
vi era una garitta di guardia, la cui veduta si estendeva dall'Etna
al mare Africano di Sciacca e tutt'intorno quasi all'infinito (d).
Dichiarato Monumento Nazionale nel 1912 per opera del Comm. Dr. Domenico
Riolo, per parecchi anni è stato adibito a carcere mandamentale.
a) Raccuglia,Castelli, Riolo, Picone;
b) Codice arabo diplomatico, tomo 2;
c) Cfr. Cesare Brandi in D. Provenzani, pittore dei Lampedusa, pag.
35, Palermo 1990
d) Fra Saverio op. cit. pag. 228 e ss.
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Foto
26
Foto
26 bis
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Il
fantasma del Castello
Come
ogni castello che si rispetti anche questo di Naro ha i suoi ricordi
di sangue e di delitti. Un'antica leggenda narra di Madonna Giselda,
la castellana dalle chiome nere e dagli occhi azzurri, che innamoratasi
del proprio paggio Beltrando ebbe un tragico destino. In una notte
di luna piena, mentre Beltrando le cantava sulla terrazza il suo amore,
accompagnandosi con le dolci note del liuto, furono sorpresi dal geloso
marito, Pietro Giovanni Calvello allora Signore di Naro:
Silenti nubi che nel ciel vagante,
bianche come barchette in alto mare,
a quel meta ne tende il vostro andare,
lontano, lontano, e dal zefero portate?
Squallido tutt'intorno è l'immenso,
romito il colle e triste la paura,
che mette all'alma un senso di paura.
Il picciol fiume scorre terso terso,
e i rai riflette de la fredda luna
che in alto e fra le stelle guarda e tace
Il mondo senza speme e senza pace,
cadono scialbe le foglie ad un ad una,
lente ed avvizzite giù nella foresta.
Così
l'uman vita passa mesta
(e)
Il giovane paggio fu ucciso e gettato dall'alto della torre. Giselda,
richiusa in una fredda e buia cella, si lasciò morire di fame
e di dolore.
Dice la leggenda che, ancora oggi, nelle notti chiare d'autunno un
bianco fantasma di donna vaga sulla terrazza del castello: è
madonna Giselda alla ricerca dell'amato Beltrando. E quando si siede
nel vano di una merlatura a contemplare il creato, un usignolo sale
dai sottostanti giardini e, fattele appresso, con melodiosi gorgheggi
canta una struggente e dolorosa canzone.
E la gente, ricordando questa tragica storia d'amore con commossa
fantasia, narra ancora oggi di un bianco fantasma di donna, che nelle
notti chiare di luna, vaga perdutamente sugli spalti del castello
alla ricerca dell'amato Bertraldo.
e) S. Pitruzzella, Don Diego Calafato, Palermo 1956,
pag.
171 e ss.
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Foto
26 tris - Interno particolare del cortile
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IL
DUOMO NORMANNO
Sull'acropoli,
accanto al Castello, si eleva, solenne e maestoso, l'antico Duomo
Normanno.
Già dichiarato Monumento Nazionale, la sua fondazione rimonta
ad epoca antichissima.
Probabilmente risale a Ruggero d'Altavilla, il Gran Conte di Sicilia,
nel 1089 poco dopo la conquista di Naro del 1086, nello stesso luogo
dove preesisteva una moschea araba e fu dedicato a Maria S.S. Assunta
dagli Angeli.
Nel 1174, anno in cui fu abbandonato il rito ortodosso dell'antica
pieve greca di San Nicolò di Bari, fu elevato a Chiesa Madre
per opera di Gualtiero Offmill, Arcivescovo di Palermo e Precettore
di Guglielmo II, detto il Buono (foto 27).
Fu consacrato alla Vergine Annunziata nella seconda domenica di maggio
nel 1266 alla presenza del Cardinale Rodolfo, vescovo d'Albano, legato
apostolico di Papa Clemente IV, unitamente agli arcivescovi di Palermo
e di Bari ed ai vescovi di Girgenti, di Mazara, di Patti, venuti a
Naro per quella cerimonia (a).
Recentemente dell'antico Duomo, per diversi secoli meta ed orgoglio
dei Naritani, pur non potendosi vedere più nella sua integrità
l'originaria struttura, si è tentato un coraggioso recupero
con un largo restauro, seppure incompleto (manca la copertura).
Sito al sommo di una singolare scalinata, l'edificio conserva l'impianto
generale del periodo normanno.
Si presenta ad impianto a croce latina con cupola ad intersezione
dell'unica navata con il transetto. L'interno è modulato secondo
un ordine di colonne addossate ai muri della navata, sormontate da
cornici da cui si dipartono dei costoloni trasversali in conci di
tufo d'irrigidimento della copertura a botte, oggi restaurata.
La chiesa costruita quasi interamente in pietra tufacea, lunga m.
50,60 e larga m. 9,50, è dotata di corpi laterali aggiunti
in successione tale da non rispettare alcuna simmetria.
In particolare nel 1565 vi fu aggiunta, da Bernardo Lucchesi Palli
di Campofranco, la cappella maggiore, dedicata alla Madonna della
Catena, un tempo Patrona della Città di Naro, in cui si trovava
una statua, opera di Gagini, che ora si conserva nella Chiesa Madre,
inglobando un'antica torre araba.
Nel 1771 per volere del vescovo d'Agrigento, Antonio Lanza, fu restaurata
dagli architetti Gaetano e Giuseppe Bennica d'Agrigento e completata
dopo 17 anni.
Nel 1788 fu affrescata da due stucchisti palermitani, Emanuele Ruisi
ed il figlio Domenico, mentre mastro Ignazio Citillo ed Amedeo Vella,
artisti naritani, la ornarono d'arabeschi.
La volta nella parte centrale, prima del crollo, mostrava magnifici
affreschi eseguiti da D. Provenzani, il famoso pittore di Palma di
Montechiaro: Maria Assunta, Aronne con l'incenso, Davide con l'arpa,
Mosè con le tavole della legge, Giosuè in atto di fermare
il sole e Giuditta che libera il popolo di Betulia.
Della Signoria dei Chiaramonte ci resta il bel portale d'ingresso,
restaurato nel 1818, sebbene corroso dal tempo, con il suo caratteristico
arco a sesto acuto, poggiato sopra un gruppo di quattordici colonnine,
riccamente modulato ed ornato a zig-zag e palmette, rappresenta uno
degli esempi più perfetti di raffinatezza e di preziosità
formale raggiunta dall'arte chiaramontana.
Nel vestibolo della chiesa, sulla destra della porta d'ingresso, una
rustica nicchia trecentesca con arco e linee spezzate. L'interno,
totalmente rinnovato in tarda età barocca mantiene pochi resti
della ricca ornamentazione di stile corinzio originaria, rivelabile
ampiamente nelle colonne, nei capitelli e nel cornicione.
Nell'interno si poteva ammirare un magnifico affresco del sec.XV (ora
presso i locali della Biblioteca Comunale) che raffigura Maria SS.
Assunta in cielo, con dodici figure denotanti gli apostoli (foto 28).
Manca la testa della Madonna (b), toltavi con arte da persona del
mestiere e che farà bella mostra di sé in qualche museo
di Londra o di Parigi, come frammemto d'affresco d'Antonello da Messina,
come lamenta il Pitruzzella. Fu chiusa al culto nel 1867 e destinata
in seguito a cimitero dei morti di colera nel 1889 e la maggior parte
delle opere d'arte ivi custodite fu portata in altre chiese. Era sede
della Confraternita dello SS.Sacramento, formata da nobili e sacerdoti,
fondata nel 1700, che si mantenne fino alla metà del 1800,
al tempo del Rev.do Priore Francesco Costa. Il Viatico è ora
celebrato dalla Chiesa Madre con una solenne processione.
a) P.Massa, Sicilia in prospettiva, pag. 248
b) Maria Accascina, in Giornale di Sicilia del 19.02.1937.
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Foto
28
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Chiesa
di San Francesco
La chiesa e l'annesso convento di San Francesco, furono fondati di
piccole dimensioni e di povere strutture nel 1229 da Rodorico Palmeri
di Naro, dei Padri Conventuali dell'ordine dei Mendicanti, con Breve
Apostolica dal Papa Gregorio IX (a), che diede come reliquia un pezzo
del cordone, con cui San Francesco si cingeva la vita, due anni dopo
la canonizzazione del "Poverello d'Assisi", lungo la strada
degli allori (oggi Largo Milazzo) nel sito ove esisteva il "Fondaco
delle olive" di grande importanza strategica poiché al
centro del nucleo cittadino, in asse a nord con il castello ed a sud
con la porta di Girgenti (b).
La posizione è ideale per un controllo generale di tutta la
città e l'Ordine gradualmente aumenta la sua rilevanza economica
e sociale, tanto che alla fine del secolo XVI i Francescani possederanno
ben tre conventi: quello dei Minori Conventuali, quello dei Minori
Osservanti a Santa Maria di Gesù ed un secondo convento di
Minori Conventuali a San Calogero ed, inoltre, nel secolo XVII promuoveranno
l'edificazione di un sobborgo fuori le mura.
Dopo quasi un secolo, per la povertà delle strutture, il convento
fu ricostruito dalle fondamenta nel 1330 da Giovanni Chiaramonte,
allora Signore di Naro (c).
Subì varie modificazioni nel secolo XVII e XVIII.
Oggi è Sede del Palazzo di Città, cui si accede dal
severo chiostro settecentesco, con giardino con, al centro, un'artistica
fontana e con atrio interno, costituito da pilastri portanti, con
semicolonne addossate su cui poggiano elegante arcate, ad una sola
navata longitudinale, modulata lateralmente secondo un ordine di paraste
addossate alle pareti, su cui, come una cornice, diparte la volta
a botte. Ora si presenta come uno fra i tipici esempi del primo barocco
siciliano, per volontà del P. Francesco Miccichè, provinciale
e guardiano del convento francescano.
Ha nobile facciata in tufo giallino con manieristici intagli di esuberante
gusto spagnolesco, entro un telaio di lesine di tipo cinquecentesco
e coppie di cariatidi, che mostrano un eccentrico effetto plastico
- chiaroscurale (foto 29).
Grande interesse riveste la parte inferiore con il grande portale,
fiancheggiato da coppie di cariatidi e sormontato dalla nicchia dell'Immacolata.
La parte superiore adorna da una grande finta finestra e da nicchie,
ormai vuote, entro paraste cinquecentesche, era sormontata da un artistico
orologio a corda fatto collocare nel 1896 per volontà del nobile
Benedetto Contrino, allora Sindaco di Naro, con alcuni pilastri che
bene si armonizzano con tutto il prospetto (recentemente l'artistico
orologio è stato sostituito con uno più moderno: elettrico!).
L'interno, ad unica navata con volta, presenta una ricca decorazione
a stucco, eseguita da Francesco Santalucia e dal figlio Salvatore
ed indorata da P. Clemente da Bivona, religioso del medesimo ordine
(1780), che si articola su due ordini divisi dal cornicione.
La stessa volta ha una pregevole decorazione a fresco dovuta al pennello
di Domenico Provenzani, l'enfant prodige, figlio del falegname del
Principe Don Ferdinando Tomasi di Lampedusa, allievo di Vito D'Anna
e del Serenario, che nel 1780 dipinse lo scenografico affresco con
il trionfo dell'Immacolata, di ispirazione dantesca, oltre ad altri
quattro minori che coprono tutta la volta e che si ispirano al Vecchio
Testamento.
Nella chiesa si conservano alcune pregevoli tele, tra le quali lo
Sposalizio della Vergine (transetto) ideato da Raffaello e realizzato
a Roma nel 1780 dal trapanese Giuseppe Mazzarese, che chiude la cappella
dove è custodita la splendida statua rococò dell'Immacolata
(Foto 30), rivestita da una lamina d'argento, dovuta a Padre Melchiorre
Milazzo ed opera egregia di maestranze maltesi (Carlo Troisi ed il
figlio Paolo nella città di Valletta nel 1719).
Nel 1692, dietro sua richiesta, fu donata al popolo narese la sacra
reliquia dell'osso omerale del protettore San Calogero, preso dal
Monastero di San Filippo di Fragalà (ME) dei Padri Benedettini,
da Silvestro Napoli Lanza, Barone di Longi (ME), conservata, ancora
oggi, in un'artistica teca d'argento, squisitamente lavorata, nel
Santuario di San Calogero.
Ed, altresì, l'Immacolata di Vito d'Anna (sec. XVIII), oltre
i sei dipinti di Fra' Felice da Sambuca: Sant'Antonio, San Calogero,
la Stigmatizzazione di San Francesco, Gesù Cristo con i SS.
Lorenzo e Bartolomeo, la Buona e la Mala morte, opere della piena
maturità dell'artista cappuccino.
Sempre a P. Melchiorre Milazzo è dovuto l'altare Maggiore,
con scene dell'ultima cena e della Passione di Cristo, eseguito nel
1899 da Gaetano Vinci da Naro ed, altresì, gli stalli corali,
opere di maestranze locali. Allo stesso committente, ancora, si deve
la costruzione (1707) e la decorazione (1721) della monumentale sacrestia
che, recentemente restaurata, è uno degli ambienti più
fastosi del barocco narese.
Gli affreschi della volta con i quattro Evangelisti sono opera egregia
di D. Giuseppe Cortese da Venezia, mentre i prestigiosi armadi in
noce, finemente intagliati ed arricchiti con numerose figure e sculture,
le cui ante internamente sono artisticamente dipinte, sono opere settecentesche
di maestranze palermitane.
Degno di nota è un lavabo rococò in marmo nero, opera
di maestranze trapanesi, cui fa contrasto la bianca decorazione, pure
marmorea, con la stigmatizzazione di San Francesco (foto 32).
Ed, altresì, si possono ammirare nel secondo altare a destra
il corpo imbalsamato di Santa Colomba e nel secondo altare a sinistra
quello di San Domizio Leopardo, che unitamente al corpo di San Torpedo
(cfr. SS. Salvatore, pag. 72) sono particolarmente venerati dai numerosi
pellegrini, che vengono a Naro per la festa di San Calogero.
Accanto a P. Melchiorre e a Donna Felice, la sorella nubile e timorata
di Dio, cui è dedicata la biblioteca comunale, si segnalò
per meriti letterari anche il fratello Baldassare, pure conventuale
minore a Roma.
Due ritratti ad olio dei fratelli Melchiorre e Baldassare, erano custoditi
nei locali della Biblioteca "Feliciana", ma recentemente
sono stati trafugati da ignoti.
Ci restano, però, due erme collocate dentro nicchie nel chiostro
(1763) dell'ex convento di san Francesco,oggi Palazzo di Città.
Fino al 1890 gli Uffici del Comune si trovavano nei magazzini affittati
di D. Giuseppe Palmeri (d), siti nella via dei Monasteri, oggi Via
Dante.
Il convento, con verbale del 27 agosto 1890, fu acquistato dallo Stato
per trasformarlo in sede del Comune, i cui lavori furono appaltati
ai fratelli Giovanni e Giuseppe Saieva di Favara con atto n. 70 del
9 Maggio 1891.
Dei preziosi cimeli conservati, si può ancora ammirare la pantofola
sinistra di San Pio V, in broccato veneziano di velluto, seta ed oro,
nonché arredi sacri in argento e ricchi paramenti, mentre la
reliquia del cordone di San Francesco, tre statuette di alabastro
sono state trafugate,unitamente ad altri preziosi oggetti.
a) Rocco
Pirri, Sicilia sacra, Palermo 1973
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 303 e ss.
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 29
d) Cfr. M. Riolo Cutaja op. cit.
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29
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30 - Simulacro d'argento
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31 - Convento e Chiesa di San Francesco - Antico prospetto -
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32 - Lavabo particolare
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La
Biblioteca Comunale "FELICIANA"
La fondazione della Biblioteca di Naro risale alla seconda metà
del secolo XVII, ad opera del Priore P.Melchiorre Milazzo da Naro,
dell'ordine dei Minori Conventuali Francescani, come si legge nella
storia manoscritta di Naro di Fra Saverio Cappuccino(1731), aiutato
finanziariamente dalla sorella Donna Felice, a cui la Biblioteca è
dedicata.
È situata nei locali del piano terra dell'ex Convento dei Frati
Minori Conventuali, oggi sede del Palazzo Comunale.
Del suo prezioso patrimonio librario di circa 13.000 volumi, per la
maggior parte proveniente dall'ex Convento dei Francescani ed in minor
parte dal patrimonio librario dei Padri Minori di S. Maria di Gesù
e dei Minori conventuali Cappuccini, come si evince dallo stampo di
appartenenza, fanno parte:
a) n. 23 incunaboli, contrariamente a quanto afferma l'annuario delle
biblioteche d'Italia, che ne ricorda solo 4. Tranne 2, i restanti
sono di argomento religioso. La stampa di questi volumi è curata
da alcuni dei suoi migliori cultori, quali Ottaviano Scoto, Andrea
Torresani, Giorgio Arriva Bene, Aldo Manunzio
b) n. 400 cinquecentine, circa, che abbracciano numerosi argomenti,
quali religioso, diritto, filosofia, letteratura. Provengono da diverse
officine tipografiche : quella di Andrea Torresani, dei Sessa, di
Aldo Manunzio, di Giovanni Scoto, degli Arriva Bene, dei Gregori.
c) n. 56 manoscritti, contrariamente a quanto afferma l'annuario delle
Biblioteche d'Italia, che ne ricorda 47. Di questi manoscritti uno
è di Fra Salvatore da Naro e due sono di Fra Saverio Cappuccino,
molto importanti perché trattano della storia di questa Città
dalle mitiche origini fino al 1825.
Ed, altresì, n. 2 volumi "Segretia della Fulgentissima
Città di Naro, ovvero Costituzioni segreziali per Naro, del
sec. XVIII.
Il volume più pregiato è un codice pergamenaceo (sec.
XII-XII) "Breviarum Typis Gothicis-Pergamena Charta", in
scrittura gotica libraria miniata in oro, opera di amanuensi di scuola
fiorentina, con fregi e disegni allegorici rappresentanti figure animali,
opera egregia di amanuensi probabilmente di scuola bolognese, con
influssi francesi (foto 33).
Vi sono, inoltre, numerose opere di narrativa, letteratura, scienze,
sociologia, saggistica, arte, storia, musica, nonché una sezione
per ragazzi ed una ricca gamma di opere siciliane, nonché una
cineteca di feste e tradizioni popolari.
La biblioteca rimane aperta a disposizione del pubblico, con l'assistenza
di personale qualificato, tutti i giorni feriali.
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33 - Codice pergamenaceo
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Chiesa
Madre
La fondazione della chiesa e del collegio della Compagnia di Gesù
viene attribuita a don Antonino Lucchesi (a), per opera del P. Gaspare
Paraninfo da Naro, religioso del medesimo ordine, nel 1619 con il
contributo economico anche delle famiglie Gaetani e Bandino, nonché
del Comune di Naro, come testimonia l'atto delle diverse donazioni,
redatto dal notaio Vincenzo Pagliaro da Naro, ottobre 1619, conservato
nell'archivio di stato di Palermo ed accettato dal Rev.do P. Don Panfilio
Lambertenghi, Provinciale dei Gesuiti, per istituire e fondare in
Naro un collegio di studi diretto dai Padri Gesuiti e secondo il loro
metodo, in uno spazio enorme al centro della città, lungo un
asse longitudinale, dove le famiglie nobili edificano i loro palazzi,
realizzando nel tempo una vera e propria strada, la via Maestra o
dei Monasteri (b), odierna via Dante Alighieri.
In detto collegio venne fondata, infatti, una famosa scuola, florida
per più di un secolo, dove si teneva un corso di studi completo
per avviare la gioventù, proveniente anche da altre città,
ai corsi universitari degli insegnamenti di teologia, grammatica,
retorica e filosofia, con una folta schiera di letterati, tanto da
essere paragonata per importanza all'Università di Catania,
unica allora in Sicilia (c).
Uno degli alunni più illustri fu Bonaventura Attardi, famoso
autore del libro Monachesimo in Sicilia, come viene attestato da documenti
esistenti presso la Curia Vescovile e l'Archivio di Stato di Agrigento.
Fu mantenuta in attività fino al 1863, quando fu chiusa per
ordine del Ministero della Pubblica Istruzione del regno d'Italia!
La chiesa, dopo la chiusura del Vecchio Duomo, prese il titolo di
chiesa Madre. Subì varie modifiche nel 1702, nel 1734 e nel
1763 (foto 34).
Agli inizi del novecento la facciata fu rifatta ad opera di Francesco
Valenti, che la divise in due ordini, mantenendo l'antico portale,
mentre sostituì i due ingressi laterali con due piccole finestre,
il rifacimento del finestrone con il balconcino e le finestre laterali
dell'ordine superiore.
Originale è la parte superiore del campanile L'interno è
ad impianto longitudinale, simmetrico con transetto e finta cupola.
Internamente fu intonacato con ricchi stucchi e pregevoli decorazioni
ad opera del rettore P. Carlo Baldone da Naro nel 1734.
Vi si conservano molte opere provenienti dal Vecchio Duomo: Il fonte
battesimale, recante la data del 1484, di Nardo da Crapanzano; la
Statua in marmo della Madonna della Catena, opera iniziata nel 1534
da Antonello Gagini, ma finita dal figlio Giacomo nel 1543; una Madonna
col Bambino detta della Pace, del secolo XIV, di pregevole fattura,
di bottega Gaginesca; un Crocifisso nell'atto di spirare di P. Domenico
Di Miceli; diverse tele del Provenzani, fra cui spicca l'Annunciazione
(1780), opera che risente dell'influenza del suo maestro Vito D'Anna
e resta una delle opere più riuscite dell'artista, (proveniente
dal monastero delle Nunziatine o Badia Piccola, per cura dell'arciprete
Don Silvestro Cassarino, fu collocata nella chiesa Madre nel 1785,
quando la Chiesa ed il Collegio dei Gesuiti furono concessi alle monache
benedettine della SS. Annunziata); una Sacra Famiglia, gruppo in marmo
di scuola gaginesca. In sacrestia sontuoso "Cascerizzo"
del 1725, realizzato dai maestri agrigentini Gabriele Terranova e
Giuseppe Cardillicchia.
A destra della chiesa, il Collegio che si articolava intorno ad un
ampio chiosco con porticato, del quale oggi rimane soltanto un lato
originario ed uno rifatto, con demolizione delle crociere originarie.
Il portale d'ingresso riccamente intagliato nella pietra arenaria
(foto 35), assume particolare rilievo per la forma architettonica
e la decorazione.
Fu in parte abbattuto il paramento murario negli anni 50", per
far posto ad un plesso scolastico ed all'ufficio collocamento.
a) V.
Amico op. cit. pag. 29
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 324
c) R. Pirri, op.cit. pag.742
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Foto
34 - Cattedrale
Foto
35 - Ingresso - Particolare
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Chiesa
del SS. Salvatore
La chiesa, con l'annesso convento delle Benedettine (foto 36), vennero
edificati , secondo Fra Saverio, intorno al 1398, anno in cui re Martino,
il Giovane e la regina Maria furono a Naro. Nel corso dei secoli subì
vari interventi.
Rimaneggiata nel 1530 con l'ampliamento del convento ed il rinnovo
della facciata. Nel 1750 si ebbe la costruzione del campanile.
Negli anni 50", il vecchio Monastero delle Benedettine venne
demolito, per far posto alla scuola elementare "San Giovanni
Bosco", con il plesso San Secondo. Il monastero che accoglieva
donzelle di nobile progenie, di Naro e della Comarca, in origine si
divideva in due organismi: uno superiore, con ingresso in Largo San
Secondo, edificio modesto nel progetto, con balconi in ferro battuto
ed uno inferiore, in via Dante, complesso severo ed austero con finestre
difese da fitte grate panciute in ferro, dove, accanto al portone
d'ingresso, esisteva la "ruota della miseria", in cui venivano
abbandonati molti bambini "indesiderati".
Dal plesso inferiore si poteva accedere al plesso superiore tramite
una scala intagliata nella roccia (ancora esistente).
Del fasto antico resta solo un cantonale d'angolo (denominato Quarto
Nobile) dalle poderose lesene e con balconi ornati di ricche mensole.
L'ultima Badessa è stata Donna Antonina Gaetani (1824/1923),
nobile naritana (a).
Rimaneggiata nel 1530, successivamente venne più volte rinnovata
nei secoli XVI° e XVII°.
La facciata a duplice ordine, dei quali quello superiore in pietrame,
mai ultimato, presenta in quello inferiore, che è il solo completo,
ricchi e fasti intagli tufacei di gusto spagnolesco di mirabile effetto
plastico coloristico e due nicchie con statue di S. Benedetto da Norcia,
a sinistra e della sorella Santa Scolastica a destra, con le insegne
abbaziali, fondatori dell'Ordine Benedettino, inquadrati da sei robuste
paraste con piedritti e capitelli di ordine corinzio.
Tra una parasta e l'altra, nella parte superiore, sono inserite quattro
finestre difese da fitte grate di ferro.
Il portale aggettante è inquadrato da colonne tortili aggiunti
in pieno seicento ed è sovrastato da una elegante edicola.
Il campanile, tozzo e massiccio, è del 1750, ma rimase incompleto.
Il nascente Barocco è riprodotto in elegante e sobrio stile,
scevro da ogni esagerazione ed esprime grandiosità e fioriture
d'ornati.
L'interno, ad una sola navata, presenta una larga spazialità,
scandita da elementi decorativi alle pareti ed il rapporto pronao-aula
è ben individuabile.
Mostra, infatti, una ricca decorazione di stucchi e di affreschi sebbene
molti deteriorati. Gli affreschi della volta dovuti al pennello di
Domenico Provenzani, con episodi della vita di San Benedetto e della
sorella Scolastica, sono stati realizzati nel 1764.
In particolare nell'affresco centrale è dipinta la glorificazione
di San Benedetto e del suo ordine monastico, nei due quadri minori
della medesima volta l'artista palmense raffigurò San Benedetto
che dà la regola ai suoi seguaci e "l'ascesa di San Benedetto".
Si possono ancora ammirare un sarcofago di porfido nero del 600",
sostenuto da due leoni, che racchiude i resti di Giuseppe Lucchesi,
Marchese di Delia, ispirato al sacello di Federico II°, nella
cattedrale di Palermo, e l'altro, di marmo bianco, ancora legato a
formule manieristiche, contenente le ceneri del figlio Assuero, morto
a 18 anni, ultimo rampollo dei Duchi d'Alagona.
Ed, altresì, una Madonna del rosario, in marmo del 1498, posta
nel primo altare a destra, detta comunemente la "Madonnina di
Trapani", sec. XVI, un Crocifisso ligneo settecentesco con motivi
classici e baroccheggianti, la statua settecentesca di San Benedetto
di stile rococò e quella tardo cinquecentesca, d'ispirazione
manieristica, di San Eligio (foto 38). La macchina dell'altare, in
legno intagliato, è opera egregia di Giosuè Durando
e Nicolò Bagnasco (1795).
Ed, ancora, in un'artistica teca, in legno e vetro, viene religiosamente
conservato il corpo di San Torpedo, donato dalle autorità pontificie
alle conventuali, per intercessione di Suor Maria Vincenza Andolina
Gaetani, insigne letterata dello stesso convento (1632-1689). È
da ammirare, altresì, sebbene molto deteriorata la "natività,
ultimo quadrone esistente nella Chiesa, dei sei eseguiti nel 1735
dal P. Domenico Di Miceli, monaco-pittore del 700". Al convento
è legato un grave episodio di sangue del 1411, all'epoca delle
lotte fra la fazione latina e quella catalana.
Naro parteggiava per Bianca di Navarra, Vicaria del Regno di Sicilia,
che tendeva all'indipendenza dell'Isola, dopo la morte di re Martino,
il Vecchio (1410), favorendo l'avvento al trono di Fernando, Conte
di Luna, figlio naturale di detto Martino.
Di contro, si opponeva Bennardo Cabrera, Conte di Modica, capo della
fazione catalana, che non voleva la Sicilia staccata dalla Corona
Aragonese.
Il Cabrera, a tradimento, nell'agosto del 1411 si impadronì
del Castello di Naro, trucidò il castellano, Lopez Leon, saccheggiò
la Città e fece seppellire viva l'innocente monaca Cannizzaro,
badessa del convento, colpevole soltanto di essere la cugina del castellano
Lopez Leòn (b).
Del fatto la regina Bianca diede l'annuncio ai fedeli feudatari del
regno in un'accorata lettera, riportata nell'archivio storico siciliano
dal barone Raffaele Starrabba (c), che è anche un documento
della lingua siciliana illustre, che era, all'epoca, la lingua ufficiale
della nostra Isola.
a) Maria
Riolo Cutaja, Profili di Naritani, p. 350 e ss.
b) S,. Pitruzzella, Naro: arte, leggenda, archeologia, Palermo 1938,
pag. 27 .
c) Saggio delle lettere del Vicariato della regina Bianca, pag. 47
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38 - Sant'Eligio e San Torpedo
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38 bis - Monastero e Chiesa del SS. Salvatore antico prospetto
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Chiesa
di Sant'Agostino
Secondo alcuni storici e fra essi Rocco Pirro, Frà Salvatore
e Vito Amico, la fondazione del convento di Sant'Agostino risale al
VI secolo, quando alcuni eremiti della regola di Sant'Agostino, creata
da Fulgenzio, Vescovo di Rugge, per sfuggire alle persecuzioni dei
Vandali, dalla vicina Africa sbarcarono in Sicilia.
Alcuni di essi trovarono rifugio a Siracusa, altri vennero a stabilirsi
a Naro, fuori dell'abitato nelle grotte del colle chiamato "romito"
(a), dove costruirono un chiesino, detto"chiesa del romito"
(foto 39).
Accanto ad essa, in seguito, costruirono un modesto convento (foto
39), dove rimasero fino all'invasione saracena. Pare che in quel primo
convento sia vissuto il venerabile San Eustachio da Naro, eremita
intorno al 627, che professò la regola di Sant'Agostino con
alcuni frati e perciò restò a lungo il nome di romito,
come attesta Frà Saverio (b).
Scacciati dai Musulmani tornarono a Naro nel 1086, grazie al Conte
Ruggero e si posizionarono in un luogo più comodo e più
vicino all'abitato.
Nel 1117, abbandonato quel luogo, eressero la loro terza residenza
di modeste dimensioni nel sito, dove attualmente sorge la Chiesa con
quel che resta dell'antico convento. Fu ampliato nel 1254 e nel 1617.
Ulteriori lavori, di abbellimento ed ampliamento al convento, furono
eseguiti ancora nel Seicento e nel Settecento. Nel convento, al centro
del chiostro, vi era una grande cisterna d'acqua.
Alcuni anni fa, parte del convento è andato completamente distrutto
per far posto ad una incompiuta costruzione moderna.
Della vecchia costruzione conventuale, ancora oggi, restano solo alcuni
avanzi, tra cui una bifora. Il pezzo più interessante, tuttavia,
rimane il pregevole portale dell'atrio incorporato nella sagrestia
che, assieme alla predetta bifora, apparteneva probabilmente alla
sala del refettorio del convento ed immetteva nel vecchio chiostro.
Finissima è la decorazione di questo portale con arco a sesto
acuto e con colonnine di ordine corinzio, di grande effetto, che può
farsi risalire a maestranze locali del '300, ancora lontano dallo
stile chiaramontano che influenzò tutto un secolo e che è
presente in altri organismi medievali della nostra città.
Una porta settecentesca in noce, con incisi nei pannelli episodi della
vita di Sant'Agostino,completa il portale di grande effetto. Nella
sagrestia notiamo molte opere di rilievo ad iniziare da una stampa
con l'albero genealogico dell'Ordine Agostiniano, dell'incisore piacentino
Oliviero Gatti, che si ispira al manierismo emiliano. Inoltre una
porta dipinta dal Provenzani, cui si devono i sei tondi con la Madonna
del Soccorso e Santi (nell'antisagrestia).
Tra i numerosi ritratti dei priori si possono ancora ammirare i nove
dovuti pure al pennello del Provenzani ed inoltre un ricco "Cascerizzo"
settecentesco (1796), realizzato da Giacinto, Raimondo e Paolo Caci
ed un fine lavabo in marmo policromo fine Settecento, con influssi
neoclassici.
Ma l'opera più pregevole è la tela con "San Girolamo
in meditazione" del Provenzani, fra le migliori dell'artista
palmense (c).
È, per unanime concordanza dei critici, la massima espressione
della sua arte e fra le più alte della pittura siciliana del
700'.
Nell'antisagrestia si conserva il monumento funerario barocco del
notaio Don Lorenzo Favara (1692), ancora legato al gusto manieristico.
La chiesa progettata da Francesco Querni, fu iniziata nel 1707, ma
rimase incompiuta.
Fu completata con l'aggiunta del secondo ordine del prospetto, che
rispecchia a grandi linee quello della basilica romana di San Giovanni
in Laterano, nel 1815 ad opera di Don Felice Vinci, oriundo da Palma
di Montechiaro e capostipite di una grande famiglia di artisti di
multiforme ingegno.
Fu ornata da una balaustra con statue scolpite da Don Calogero Vinci
da Naro, figlio di Don Felice.
La chiesa è a croce latina con cupola e coro semicircolare,
mentre le navate laterali sono più basse e coperte da volte
a crociera.
L'interno è ricco di opere d'arte, tra cui sono degne di nota:
un crocifisso ligneo del 1535, la statua lignea di San Francesco di
Paola, pregevole opera di Nicolò Bagnasco, un'acquasantiera
marmorea di gusto rinascimentale-gaginesco, un pulpito ligneo di fine
500, dove al centro è scolpita la conversione di San Paolo,
il manieristico sarcofago di Francesco Alacchi (1606) ed il monumentale
organo costruito nel 1770 dall'agrigentino Gaspare Di Franco.
Nel presbitero un notevole coro ligneo tardo-settecentesco in due
file, opera di maestranze locali e due dipinti, l'Estasi di Sant'Agostino
e la Madonna con il Bambino ed i SS. Agostino e Scolastica, della
scuola del Provenzani.
Di notevole valore pure i dipinti: la Madonna della consolazione,
Sant'Agostino, San Tommaso di Villanova, San Giovanni da S. Facondo,
San Guglielmo e San Nicolò da Tolentino.
Interessanti sono pure il transito di San Giuseppe dell'agrigentino
Michele Narbone, nonché la Samaritana al pozzo e la fuga in
Egitto, opere fra le più rappresentative del settecento locale.
Sottostante alla chiesa è la cripta che fu realizzata per la
sepoltura dei frati dall'architetto Frà Girolamo Agostino De
Cremissa, dell'ordine agostiniano, come ci viene attestato da una
lapide fatta apporre nella stessa cripta da P. Prospero Favara.
La cripta fino al 1891 servì da Cimitero.
Nel 1900 tutte le ossa furono raccolte e poste in un ossario. La cripta,
divisa in navate, racchiude in quella di centro alcuni caduti delle
guerre mondiali e delle campagne d'Africa.
Nelle navate laterali nicchie vuote, dove venivano posti " a
scolare" dopo la morte, i monaci per l'imbalsamazione.
La chiesa ed il convento sono conosciuti anche perché citati
nel romanzo di Luigi Natoli "Fra Diego La Mattina" il frate
agostiniano che per sfuggire alla cattura per ordine del Tribunale
dell'Inquisizione, diventato un avventuriero e popolare bandito, trovò
rifugio per qualche tempo in questo convento agostiniano.
Ma successivamente, preso ed arrestato, finì sul rogo a Palermo.
a) B.
Attardi, Monachesimo in Sicilia, pag. 52
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 260 e seguenti.
c) G.B. Comandè, D. Provenzani, pittore Siciliano del sec.XVIII,
Palermo 1948, pag. 49/50.
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39 - Chiesa di Maria SS. dello Stretto di Sant'Agostino. Romitorio
Foto
40 - Antico prospetto
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Chiesa
di San Calogero
Non si hanno notizie storiche del periodo in cui fu costruita la chiesa
di San Calogero. Si dice, però, che la fondazione della chiesa
è stata anteriore al convento. Pare, infatti, che una chiesa
dedicata a San Calogero sia stata edificata verso il 1436, al tempo
di Papa Eugenio IV, mentre il convento fu fondato dai RR. PP. di San
Giorgio in Alga nel 1543, sotto il pontefice Paolo III.
Il 29 giugno dello stesso anno, la chiesa fu concessa dal vescovo
d'Agrigento P. Pietro D'Aragona e Tagliavia ai PP. RR. di San Giorgio
in Alga, essendo giurati della Città Placido Camastra, Giovan
Battista Gueli, Antonio Di Sazio e Giulio Mazza (a).
I RR. PP. di San Giorgio in Alga, chiamati così perché
avevano la loro casa principale nell'isola di San Giorgio in Alga
a Venezia, furono fondati all'inizio del 400' da alcuni nobili fiorentini,
abbellirono ed ingrandirono la chiesa e tennero la medesima ed il
convento fino all'abolizione del loro ordine. Il complesso religioso,
quindi, fu acquistato dai RR. PP. Minori Conventuali di san Francesco
(con atto del 4 aprile 1672, rogato dal notaio Lorenzo Favara), per
la somma di cinque mila scudi, con la condizione di mantenere lo studio
di Filosofia e vegliare sul culto del Protettore San Calogero.
La chiesa, restaurata varie volte nel 1666, nel 1748(anno inciso nell'architrave
della porta principale), nel 1819 (fu riportata alla luce la cripta
del Santo), nel 1950 e nel 1957, ad unica navata con profonda abside,
dipinta da D. Bennardino Buongiovanni e da P. Domenico Di Miceli,
rispecchia l'impianto seicentesco (b).
Un'ampia scala conduce alla cripta sottostante, ove è conservata
in una singolare custodia, su un altare di legno dorato in stile barocco,
il simulacro di San Calogero, il Santo Nero, venuto dalla Calcedonia,
fra il VII e l'VIII secolo in Sicilia, eseguito da Francesco Frazzotta
e, completato nella testa, dalla figlia nel 1566.
Emozionante è la grotta dove pare vi abbia abitato il Santo
eremita, posta all'interno della cappella a Lui dedicata (foto 41).
La cripta è stata restaurata da Umberto Colonna da Bari, lo
stesso artista che ha dipinto anche la figura di San Calogero in preghiera
all'interno della grotta, mentre è stata indorata da Cocò
Schembri, quando fu pure rinnovato il settecentesco altare da Tito
Vaccaro, maestro ebanista, entrambi nostri concittadini (c).
Varie opere, degne di nota, della prima metà del secolo XVIII,
si conservano nella chiesa insieme a numerosi dipinti d'autori anche
contemporanei.
Notevole è la cappella (700) dedicata a Santa Lucia, affrescata
con scene della vita della Santa di Siracusa, l'altare marmoreo del
1444, scolpito a bassorilievo con l'adorazione del SS. Sacramento.
Ed, altresì, un Cristo alla colonna, molto curioso, in marmo
le cui particolari venature imitano il sangue sparso sul corpo flagellato,
opera di maestranze trapanasi.
Il prospetto esterno, forse dovuto a Giovanni Biagio Amico od a Rosario
Gagliardi, mostra i suoi partiti architettonici più rilevanti
nella facciata principale convessa, divisa in duplice ordine, di gusto
barocco, in cui risalta il portale principale d'ingresso in pietra
da taglio.
Notevole è anche il coevo portale laterale secondario, legato
a formule rococò, diviso in due sezioni, l'inferiore fiancheggiato
da due colonne per lato, poggianti su alti piedistalli ed a corpo
avanzato rispetto al parametro murario e terminanti, con raffinati
capitelli corinzi, su cui poggia una cornice, dove si eleva una cappelletta
al centro della quale v'è l'affresco di San Calogero con la
cerva ed il cacciatore Arcadio.
Attualmente la chiesa ed il convento è sede dei P. Guanelliani,
che con il loro costante impegno in campo spirituale e sociale, mantengono
l'attività del Santuario in crescente dinamismo, ultimamente
con la lodevole iniziativa dell'istituzione di una Casa-Albergo in
favore degli anziani.
a) Fra
Saverio Capuccino, op. cit. pag. 286
b) A. Giuliano Alaimo in L'ora del 5 marzo 1943
c) Salvatore Capodici, L'opera di Don Guanella in Sicilia, Roma 1997,
pag. 115.
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Foto
41 - Cappella e Custodia di San Calogero
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Chiesa
di San Nicolò di Bari
La chiesa con l'annesso convento (foto 42) venne eretta nel 1618 ad
opera del benefico Vincenzo Lucchesi, forse sui resti dell'antica
pieve di San Nicolò di Bari, Vescovo di Mira (a).
Per antichissima tradizione sembra questa pieve essere stata in Naro
la prima chiesa, edificata alla fine del IV secolo e, precisamente,
nell'anno 393, con bolla di papa Siricio, che destinò a Naro
un sacerdote di nome Teodosio, insignito con il titolo di Priore,
che in quel tempo aveva l'autorità di un vescovo (b).
La chiesa ebbe il nome di San Giuseppe, mentre il convento fu chiamato
"Collegio degli orfani". Nel 1636, sempre per sua iniziativa,
detto collegio fu mutato in Monastero femminile, con il titolo di
Santa Chiara. Dopo alcuni anni da Donna Deodata Lucchesi, monaca del
Monastero del SS. Salvatore o Badia Grande, prese il nome di Maria
SS. Annunziata o Badia Minore, con la regola di San Benedetto (c).
Nel 1785 la chiesa fu eretta a Parrocchia, con il titolo del glorioso
San Nicolò di Bari, Vescovo di Mira. Ha larga facciata in tufo
giallino, con motivi manieristici d'esuberante gusto spagnolesco,
tipici della prima architettura barocca siciliana.
Sul portone d'ingresso lo stemma nobiliare della famiglia Lucchesi
Palli, che trae origine da Adinolfo Palli, figlio di una sorella di
Desiderio, re dei Longobardi e, di seguito, tra i suoi discendenti,
da Andrea Palli, che essendo passato in Sicilia, aggiunse il nome
Lucchese in memoria della sua Patria Lucca.
La facciata si articola su due ordini ed è, verticalmente,
riportata in tre parti simmetriche rispetto all'asse centrale. La
parte superiore è dominata da una grande finestra di forma
rettangolare.
La parte centrale mostra un pregevole portale d'ingresso, ricco di
decorazioni, sormontato da un frontone aperto.
Il prospetto, scandito da un ritmo incrociato di cornici e paraste,
è affiancato dalla torre campanaria, dove fino al 1821 si trovava
una singolare campana proveniente dall'antica pieve greca, che si
trovava sul piano, vicino alla dimora della potente famiglia Gaetani,
recante la data del 580, come attesta Fra Saverio.
L'interno ad impianto longitudinale simmetrico ad unica navata priva
di transetto, con giuochi di luce della finestra, che sottolinea i
contrasti plastici del coro e dell'abside, sono ornati da stucchi
realizzati nel XVIII secolo e da alcune tele, degne di rilievo, di
scuola siciliana.
Ed, ancora, alcuni dipinti tra cui spicca una Sacra Famiglia (foto
41 bis), attribuita alla scuola di Pietro d'Asaro, ma che invece è
legata a formule tardo-manieristiche, una Madonna Addolorata consolata
da Gesù, di Francesco Guadagnino e la tela della Deposizione,
ornata da sette piccole tele, attribuibile al Provenzani.
In sagrestia è un bel Crocifisso ligneo settecentesco. Nella
parete destra sull'ingresso alla sagrestia, vi è una tavola
tardo-cinquecentesca della "Veronica".
Infine un magnifico fonte battesimale recante la data del 1490, con
le armi della Casa Aragona, analogo a quello della Chiesa di Santa
Caterina.
Fin dal 1622 è sede della Congregazione del SS. Crocifisso,
che cura ogni anno una solenne processione con il Cristo morto fino
al Calvario.
Originariamente la Confraternita aveva sede nella distrutta chiesa
del SS. Crocifisso, che si trovava nella via Piave, sotto la dimora
del Marchese Specchi, che in seguito donò il Crocifisso (di
detta chiesa), di sua proprietà, alla chiesa di San Nicolò
di Bari, con obbligo di esporlo nella Settimana Santa. Da quel giorno
la Confraternita si trasferì nell'attuale sede.
a) P.
Piazza, vita di P. Gaspare Paraninfo, f.4
b) Fra Saverio Cappuccino op. cit.
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 85
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Foto
42
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22 bis - Sacra Famiglia
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Chiesa
di San Giovanni Battista
Quasi contemporaneamente ai Gesuiti, ma con minore rilevanza rispetto
a loro, arrivano nel 1610 i Domenicani a Naro, ove fondano il loro
65° Convento, col titolo di San Giovanni Battista, nei magazzini
della Compagnia di San Giovanni Battista, vicino alla porta Licata.
Fu ristrutturata nel sec.XVIII, com'è dimostrato dalla data
del 1752 apposta nel lato meridionale, dall'arch. Pietro Mammana di
Girgenti. Fu ultimata nel 1778, era, quindi, decorata due anni dopo
con stucchi per volere del Priore T. Gaspare Alletti, cui si deve
anche la decorazione della chiesa, ad unica navata, nella volta da
tre quadroni ad affresco con storie di San Domenico, realizzate da
Domenico Provenzani (foto 43 tris), contestualmente alla decorazione
scultorea. Di particolare interesse è la facciata della chiesa
ed il prospetto lungo la via Dante, in tufo arenario, con mirabili
mensole dei balconi nei riquadri delle finestre. Tutto il complesso
nel corso dei secoli ha subito varie manomissioni, come l'abolizione
dell'ingresso (foto 43) e della scalinata della Chiesa e la trasformazione
della stessa in cappella e lo spostamento dell'ingresso del convento.
Sull'altare maggiore la pregevole tela La predicazione del Battista,
una delle opere più belle del Provenzani, cui il pittore palmense
appose la firma (a). Lo stesso altare è opera dello scultore
Calogero Vinci da Naro, progenie dell'illustre Famiglia oriunda da
Palma Montechiaro (b). Espulsi i Domenicani nel 1866, il convento
e la chiesa passarono alla Comunità delle Figlie della Carità
dell'Istituto di San Vincenzo de Paoli di Napoli, della Casa Madre
di Parigi, per opera del narese Don Antonio Lauria, Rettore dei Padri
del Santissimo Redentore della Casa di Girgenti, che con atto n.175
del 22 aprile 1860, dal notaio Don Giovanni De Francisci, dotava il
convento di ricche prebende, con la condizione che la Casa fosse intitolata
a Maria Immacolata. Ancora oggi la chiesa ed il convento appartengono
all'Istituto Immacolata Concezione.
a) G.B. Comandè, op. cit., pag. 44 e ss.
b) Fra Saverio, op. cit. pag. 361
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43 bis - Particolare altare
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43 tris - San Domenico
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Chiesa
di Sant'Erasmo
La chiesa ha origini molto antiche. Si suppone che fu costruita nel
luogo dove si trova oggi, riadattando i locali di un grosso magazzino
degli eredi di Francesco Randazzo, con il nome di Sant'Erasmo, vescovo
e martire, nel lontano 1555 (a). Mentre il convento dei Padri della
Madonna della Mercede fu fondato nel 1590.
E la chiesa preesisteva. Nel 1692 fu eletta Parrocchia filiale della
chiesa Madre e Don Vincenzo Bonnino fece alla Chiesa la donazione
di alcune case per il mantenimento del cappellano (vedasi atti del
notaio Favara). Ristrutturata varie volte, fu modellata nel 1775 per
opera dei fratelli Giuseppe e Calogero Principato.
Nell'anno 1890 divenuta pericolante, fu chiusa al culto e si pensò
di sconsacrarla. Ma per l'intervento di Don Antonio Cutaja, parrocchiano
di fede e di gran possibilità economiche, fu ristrutturata
e restituita al culto (b).L'interno è ad unica navata in stile
tardo-manieristico, con archi ogivali e stucchi di discreta fattura
nella volta.
Da notare un pregevole altare maggiore in legno con specchi sparsi,
eseguito nel 1800 da Vincenzo Vinci da Naro (discendente da Felice
Vinci, nativo di Palma di Montechiaro, che si stabilì a Naro
nella seconda metà del settecento e che fu mandato a Roma per
perfezionarsi nell'arte di Raffaello dal principe Tomasi di Lampedusa),
ed una statua di legno della Madonna di Loreto del 1600, d'autore
ignoto, una sacra Famiglia, tardo-settecentesca ed un Crocifisso di
carta pesta, ottocentesco di scuola siciliana.
Si può ammirare anche la statua di legno di Sant'Erasmo, vescovo
e martire, cava all'interno e quella di Santo Stefano, Protomartire.
Ed, altresì, la statua di legno del Cristo risorto, opera egregia
di un realismo singolare, di un imprecisato autore locale "muto".
Ed, ancora, in sacrestia si può ammirare un pregevole dipinto
di Santa Lucia, opera di ignoto autore proveniente dalla diruta chiesa
campestre poco distante dalla fonte di Favarelle, della quale si potevano
osservare ancora le vestigia fino al tempo di Fra Salvatore.
L'esterno ha subito vari rifacimenti. Infatti, la torre campanaria,
costruita nel 1694 nella parte Nord-Est e distrutta durante il bombardamento
del 12 luglio 1943, è stata ricostruita artisticamente nella
parte opposta della chiesa (Nord-Ovest) per opera del maestro Domenico
Vinci da Naro nel 1945. Era sede della Congregazione di Sant'Erasmo
(1569), sotto il titolo di Santa Maria di Loreto.
a) Cfr.
atti dei Vescovi, op. cit. pag. 292;
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 292.
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44 - Interno
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Chiesa
dei Cappuccini (Santo Spirito)
Un piccolo convento con annessa chiesa, nel luogo denominato Grotte
di San Cataldo, fuori le mura della Città, in mezzo alla campagna,
fu fabbricato nel 1551 dai Cappuccini, guidati da P. Luca da Naro,
della potente famiglia Palmeri, originaria dalla Scandinavia, che
fa risalire le sue origini a Salvatore Palmeri Miles, venuto a Naro
nel 1086 al seguito di Ruggero il Normanno, con cui era imparentato,
famoso per aver ucciso in duello Mulcibiade Mulé( Melk - Kelb
- Mule), Barone saraceno delle terre di Ravanusa e dello Gibbesi (foto
45).
Nel 1554 per opera dei nobili naritani Ippolito Lucchesi ed Ippolito
Giacchetto, si ampliò il piccolo convento, costruendone uno
più grande e più solido. La chiesa ed il convento furono
successivamente ristrutturati ed ingranditi nel 1690 e nel 1726.
La sagrestia fu eretta nel 1726 per opera di P. Girolamo Alletti,
allora Guardiano del convento. Nel 1728 il convento fu fatto intonacare
per volontà di P. Giuseppe da Naro. Fu ristrutturato ancora
nel 1723 e nel 1754. La chiesa è ad unica navata longitudinale,
con locali adiacenti a sagrestia. Si riscontrano ancora i resti dell'antico
convento, che fanno intuire l'impianto originario, costituito da un
cortile interno. Il portale in pietra tufacea, austero e semplice,
costituisce l'unico elemento architettonico degno di nota.
Internamente intonacata con gessino, è priva ormai di qualsiasi
pittura. La chiesa originariamente aveva cinque altari e molte opere
d'arte. Nel 1866 con la soppressione delle Congregazioni religiose,
il convento fu chiuso e le opere d'arte, ivi racchiuse, alcune sono
andate in altre chiese, altre perdute per sempre.
Recentemente, grazie all'attiva presenza del parroco Sac. Don Filippo
Barbera, sono tornate al loro posto in chiesa, tra l'altro, uno splendido
altare maggiore settecentesco, in legno, che trae spunto dalle custodie
cappuccine-francescane, una statua della Madonna che dorme, in cera,
dentro un'urna di vetro.
Vi si conservava vicino all'altare Maggiore, in cornu Evangelis, la
tomba di suor Serafina M. Pulcella, della famiglia Lucchesi, bizzocca
cappuccina, morta in odore di santità nel 1673. Le sue spoglie
mortali furono traslate il 2 dicembre 1939 dalla chiesa dei Cappuccini
in quella di San Calogero, nella cui cripta furono deposte.
Ed, altresì, nella cappella maggiore vi era la tomba di P.
Girolamo Caruso da Cammarata, monaco cappuccino, morto pure in odore
di santità nel 1627, al cui processo di beatificazione partecipò
il Maestro Provinciale degli Agostiniani P. Agostino Priolo, naritano,
incaricato dal Vescovo Mons. Traina di Girgenti. Le sue ceneri, riesumate
il 21/12/1973, sono state traslate nel convento dei Cappuccini di
San Giovanni Gemini.
È stata riaperta al culto nel 1984 con decreto vescpvile del
13/3/1987 è stata dedicata allo Spirito Santo e dichiarata
comparrocchiale (a). Recentemente sono venuti alla luce degli ambienti
sotterranei di sepoltura dei cappuccini del 1728 (foto 47).
a) V.
Gallo, parrocchie e parroci della chiesa agrigentina, Agrigento 1991,
pag.123.
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45 - Scena del combattimento
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46 - Interno
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47 - Catacombe
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Chiesa
di Santa Maria di Gesù
È opinione diffusa che la Chiesa ed il relativo convento, furono
edificati intorno al 1470 dai frati Minori Osservanti, dell'ordine
dei Mendicanti, che daranno vita, in seguito, al casale omonimo sotto
l'influsso dei Francescani, utilizzando l'impianto di una precedente
torre di preguardia, edificata durante la lotta contro i Turchi, al
tempo di Carlo V.
Nel 1595 i locali, ampliati e ristrutturati, furono ceduti ai Padri
Riformati, ad opera di Francesco da Mazarino.
La struttura originaria del convento è andata quasi del tutto
perduta, a causa di diversi rifacimenti.
Detto convento, in origine sede di una comunità di oltre trenta
religiosi, che tenevano una scuola di filosofia e teologia, è
completamente inglobato nelle abitazioni circostanti.
In esso dimorò per molti anni Fra' Giovanni Pantaleo, dei Padri
Riformati, prima di seguire Garibaldi ed i Mille, aderendo al proclama
del Generale indirizzato ai buoni preti del 14 maggio 1860, assieme
al quale il 17 settembre 1860 entrò a Napoli, nella sua stessa
carrozza (a).
Secondo il Pitruzzella, la sua cella era visitabile fino al 1912,
in seguito, purtroppo, è stata inglobata in una abitazione
privata.
Del bellissimo chiostro, rimangono, molto degradate, le vecchie superfici
ad intonaco ed a faccia vista del colonnato, coperto da volte a crociera,
impostate su eleganti arcate su piedistalli di stile rinascimentale,
alti quasi un metro ed hanno una singolare base quadrangolare che
funge da piattaforma per lo slancio di ciascuna delle colonne del
chiostro.
Ed, altresì, l'antico pavimento del chiostro in mattoni pieni
di laterizio rossiccio, venuto alla luce durante i lavori di manutenzione
dei locali annessi alla chiesa nel 1986 (Cfr, Giornale di Sicilia
del 14.03.86).
Ma ancora in buono stato è il lato sud-ovest, coperto con volte
a crociera su ampi archi a sesto pieno.
La chiesa, distrutta completamente nel 1781 da un incendio, venne
rifabbricata da Calogero e Giuseppe Principato con il contributo economico
dei cittadini e di Don Francesco Torricelli Leonardo.
Attualmente la chiesa, dalla fine del secolo XVII, si presenta ad
impianto longitudinale ad unica navata con abside semicircolare, cappelle
laterali e nicchie, che modulano con grande effetto l'interno in stile
tardo manieristico, trasformato ed alterato a seguito di diversi interventi
di restauro.
In essa si conservano alcune statue lignee: un San Diego e un Sant'Antonio
di Padova, di ascendenza manieristica, nonché un San Francesco
di gusto barocco (foto 49).
Ed, altresì, una Madonna con il Bambino, statua quattrocentesca
in marmo, un Crocifisso ligneo a grandezza naturale, opera egregia
di Frate Umile da Petralia Soprana, al secolo Gianfrancesco Pintorno
(1588-1639), che questa chiesa poté avere per intercessione
di Fra Bennardino da Naro, frate del medesimo ordine e molto legato
al Pintorno da grande amicizia.
Grande figura di artista e di santo quella del Pintorno, che giace
umilmente sepolto nella chiesa di Sant'Antonino di Palermo. Amò
Cristo fino allo spasimo, tanto da scolpire ben 33 crocifissi, quanti
gli anni di Cristo (b).
Ed, ancora, si possono ammirare una sedia dell'officiatura, di gusto
eclettico ed un fonte in marmo per acqua benedetta, di Antonello Gagini
(sec.XVI).
a) G.
Di Giovanni, Naro-itinerario monumentale, Agrigento 1981, pag. 48
b) S. Pitruzzella, op. cit., pag. 110
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Foto
48 - Foto d'epoca
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49 - San Francesco
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Chiesa
della Madonna del Lume
La sua fondazione, con il nome di Maria SS. del Lume nel Lazzaretto,
risale alla prima metà del 700' per opera di P. Giovanni Battista
Timpanaro ed apparteneva ai Padri Francescani (a).
Fu ristrutturata nel 1738 e nel 1810, l'anno è inciso nel portale
esterno sopra la porta, quando fu eretto il coretto. L'interno, ad
aula piccola, presenta stucchi e cornici ben rifiniti.
Si può ammirare la Madonna del Lume, interessante complesso
statuario in legno (foto 50), formato dalla Madonna che sulla mano
sinistra sostiene il Bambino, mentre con la destra afferra per un
braccio un peccatore che sta per cadere all'inferno.
La facciata semplice, mette in risalto il pregevole portale di pietra
da taglio, finemente scolpito.
È stata eretta parrocchia con decreto vescovile dell'1 gennaio
1959 (b).
a) Fra
Saverio, op. cit. pag. 298
b) Archivio della Curia vescovile di Agrigento.
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Foto
50 - Statua della Madonna del Lume
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Ex
Oratorio di Santa Barbara
La sua fondazione risale al 1336 ed è attribuita alla Confraternita
sotto lo stesso titolo, annessa al convento di San Francesco, dal
quale ebbe un pezzo di terreno del suo orticello per erigervi l'oratorio.
Dell'esterno si ammira il portale d'ingresso, dove fanno spicco le
colonne doppie a rilievo e l'architrave ornato di fini intarsi (foto
51).
La facciata in pietra da taglio tufacea a faccia vista, con cornici
e riquadri nelle aperture, presenta un pregevole portale di conci
di pietra di malta bianca in contrasto con il tufo arenario, che predomina
nel prospetto e nell'architettura narese in genere.
Si presenta ad unica navata, modulata da pilastri addossati alle pareti
laterali, da cui dipartono le arcate trasversali d'irrigidimento della
volta a botte.
Internamente povera d'architetture, si presenta spoglia e priva di
decorazioni.
Del suo ricco patrimonio artistico restano solamente una statua di
legno dorato, a grandezza naturale, raffigurante Santa Barbara, vergine
e martire, opera di scuola siciliana del 1500 (a), una statua lignea
di San Giovanni Battista, opera della fine del 1400, una Madonna delle
Grazie del 1479, opera di Giorgio da Milano, della scuola del Gagini,
che fino al 1543 fu la Patrona della Città di Naro, tutte opere
che si conservano nella chiesa di Santa Caterina.
Un tempo nella medesima aveva sede la Congregazione dei Cavalieri
e, poi, dei contadini, ortolani ed artigiani (b).
Splendido oratorio fino ad alcuni anni fa, adesso è un salone
parrocchiale in stato d'abbandono.
a) S.
Pitruzzella, op. cit., pag. 89
b) Fra Saverio Cappuccino, op. cit.
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Foto
51 - Antico prospetto
Foto
51 bis - Antico prospetto
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Chiesa
di Sant'Antonio Abate
La Chiesa, costruita vicino al Duomo con il quale ha condiviso la
sorte dell'abbandono e dell'incuria, ha origini molto antiche.
La sua fondazione si fa risalire al tempo, in cui vennero a Naro i
Canonici Regolari di San Giorgio in Alga (sec.XVII) (a).
A seguito di una frana, fu restaurata nel 1679. Il bel portale barocco
in pietra bianca a faccia vista è del 1706.
Internamente era ad unica navata.
Fu ristrutturata nel 1775 da Mastro Antonio Carletto.
Rovinata nel 1908 per il terremoto, fu chiusa al culto nel 1929. Al
suo interno aveva cinque altari e diverse opere d'arte di un certo
rilievo, alcune delle quali oggi si possono ammirare in varie chiese.
Recentemente, a seguito di restauro, si è tentato un recupero,
che lascia intravedere le suggestive bellezze che possedeva.
In un ambiente, dietro l'altare Maggiore, adibito a camera asciugatoio,
in cui erano appesi i cadaveri a scolare, è venuto alla luce
un altare magnificamente affrescato, sul davanti, di cui restano però
poche tracce (foto 52). Era sede della congregazione dei cavalieri,
poi dei contadini, la più antica di tutte le Confraternite.
a) Fra Saverio Cappuccino, op. cit. pag. 351 e ss.
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52 - Altare
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Chiesa
di San Paolo
Non
si conosce con esattezza l'anno della sua fondazione. Si dice edificata,
trasformando un magazzino della famiglia Timpanaro, prima del 1685,
anno in cui fu elevata a Parrocchia filiale. Nel 1760 stava per crollare
e fu risanata con il contributo economico dei Fratelli della Congregazione
(di San Paolo), quando furono costruite anche le due cappelle di San
Paolo e di San Giuseppe. Nel 1784 dai maestri Giovanni Farruggia,
Calogero Viccica e Mario Principato furono ripresi la facciata e la
porta maggiore ed innalzato il coro.
Tra il 1803 ed il 1809 fu completata e decorata con stucchi da Tommaso
Fasulo (a).
L'impianto è ad aula semplice con piccolo coro d'ingresso e
torre campanaria contigua alla facciata principale. La copertura è
a botte con archi trasversali originati da paraste laterali.
Di particolare interesse è un'edicola lignea contenente un'urna
con Cristo crocifisso morto, di pregiata fattura, tardo-cinquecentesco,
di stile manieristico, proveniente, come attesta Fra Saverio, da una
chiesa campestre detta a casazza, rovinata nel 700'.
Detto Crocifisso, concesso per contratto stipulato dal priore della
Collegiata D. Francesco Costa alla chiesa di San Paolo, con il nome
di Lazzaro, in epoca alquanto recente, era solennizzato la Domenica
prima di Pasqua, dai Fratelli della Congregazione (contadini), con
una singolare processione.
Vi si conserva, altresì, un pregevole dipinto con l'Addolorata
(foto 53), di Fra Felice da Sambuca, al secolo Gioacchino Viscosi.
a) Fra Saverio cappuccino, op. cit. pag. 299 e ss.
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Foto
53 - L'Addolorata
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Chiesa
di Gesù Maria e Giuseppe
Si dice che la primitiva Chiesa fu fondata nel 1651 per merito di
Don Bartolomeo Barbara, nobile naritano. Quel che è certo che
la chiesa è dei primi del Settecento ed apparteneva ai Gesuiti.
Nel 1741 fu restaurata e nel 1774, dopo l'espulsione dei Gesuiti,
la chiesa e l'annesso giardino passarono sotto la giurisdizione di
Ferdinando IV, re di Napoli e di Sicilia.
Nel 1943 fu distrutta da un bombardamento aereo. Ricostruita nel 1950,
si presenta, ora, ad aula semplice, piccola, con altare e qualche
statua. Molto interessante il prospetto principale con portale finemente
lavorato, completo armonicamente dalla facciata con due belle bifore,
con esile colonnine e dalla torre campanaria (foto 54).
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54 - Prospetto
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Chiesa
di Santa Caterina
È il più artistico esempio di architettura d'epoca normanna,
un fine gioiello di stile gotico-normanno, a cui gli artisti siciliani
seppero dare un'impronta originale ed un gusto da caratterizzare uno
stile ed un'epoca.
Nonostante la mancanza di notizie sicure, è opinione diffusa,
tra i maggiori studiosi, che essa fu edificata da Matteo Chiaramonte,
Conte di Modica e Signore di Naro dal 1366, per volere di Federico
III°, detto il Semplice, a seguito della pace di Castrogiovanni,
tra la fazione latina (i Chiaramonte, i Ventimiglia, i Rosso, i Lancia
e i Palizzi) e l'altra di origine catalana (i Moncada, gli Aragona,
i Valguarnera) che si disputavano il dominio dell'Isola. Osservando
le strutture interne, si può ipotizzare che la Chiesa fu edificata
sui resti di un Tempio musulmano, che fu restaurato, ampliato ed arricchito
di ornati.
Dell'antica costruzione rimane l'impianto generale a tre navate, con
absidi, scandite da archi ogivali sorretti da massicci pilastri cilindrici
(foto 55). La navata centrale è formata da due profonde campate,
che ricevono luce da numerose finestre lunghe e strette a sesto acuto.
L'abside centrale, con volta a crociera costolonata, sorretta da quattro
pilastri angolari con capitello, riceve luce da una finestra strombata
a feritoia, posta sopra l'altare, d'ispirazione federiciana e presenta
un'interessante arco d'ingresso in stile chiaramontano e due bifore
tribolate, mentre le due absidi laterali presentano fastosi archivolti.
Originale è pure il soffitto ligneo a capriate, un tempo dipinto,
che richiama quello coevo della chiesa agrigentina di Santa Maria
dei Greci. Sulle pareti e nelle absidi laterali sono ancora visibili
resti di affreschi trecenteschi, che raffigurano la Madonna con il
Bambino e San Michele Arcangelo, attribuibili a Cecco da Naro, il
famoso pittore del 1300 che, con Simone da Corleone e Pellegrino Darenu
da Palermo, affrescò il soffitto della sala Magna dello Steri
di Palermo, l'Hosterium Magnum (Palazzo fortificato), della potente
famiglia dei Chiaramonte, voluto da Manfredi III° (a).
La Chiesa fu rimaneggiata nel 1725. A seguito di restauri eseguiti
nel 1935-40, per interessamento del Conte Alfonso Gaetani, benemerito
della Città di Naro anche per altre opere, e, di nuovo, nel
1959 dalla Soprintendenza ai monumenti, sono state ripristinate le
strutture originarie. Il prospetto, risalente all'intervento settecentesco,
quando fu rinnovata la porta maggiore e rifatto il portale, è
caratterizzato da scialbe formule tardo-barocche.
Con il recente ulteriore intervento di restauro e di rifacimento del
pavimento, è venuto alla luce un vano con, al centro, una fossa
adibita a sepoltura e lungo i lati delle pareti diverse sedie-scolatoio,
testimonianza dell'esistenza di un ambiente adibito a sepoltura. Ben
poco resta del ricco patrimonio artistico che si conservava nella
Chiesa.
Attualmente si possono ammirare: un fonte battesimale del 1400, in
marmo, in un unico blocco, con lo stemma degli aragonesi e quello
della Città di Naro, la ruota, simbolo del martirio di Santa
Caterina d'Alessandria e le Chiavi della Chiesa; il così detto
Arco Romano, d'ispirazione rinascimentale (1565), dove sono scolpite
scene della Via Crucis, scene di vita monastica, lo stemma della Confraternita
di Sant'Antonio ed un ovale con croce, proveniente dalla diruta chiesa
di Sant'Antonio, con alle basi i medaglioni, probabilmente, dei due
Scipioni o, forse, degli ecisti (fondatori) della Città, la
quattrocentesca Pietà, dovuta allo scalpello del gaginesco
Giuliano Mancini, proveniente, anch'essa, dalla chiesa di Sant'Antonio,
di cui colpisce il realismo del volto di Maria, simile alla pietà
del Gagini, che si trova a Soverato Alta (CZ) ed la Madonna delle
Grazie (1497), che fino al 1543 fu la Patrona di Naro, attribuibile
a Giorgio da Brigno, da Milano, di scuola gaginesca, proveniente dall'oratorio
di Santa Barbara. Ed, ancora, un Crocifisso ligneo del 1300, racchiuso
in una artistica bacheca e due statue lignee raffiguranti Santa Caterina
e Santa Barbara, provenienti dalla Chiesa omonima, che risentono ancora
di formule gaginesche. All'ingresso, due acqua-santiere di gusto chiaramontano.
La Chiesa fu eretta a Parrocchia nel Febbraio del 1542, dal vescovo
Don Pietro D'Aragona Tagliavia. È stata dichiarata Monumento
Nazionale nel 1912.
a) Andrea Chiaramonte, ottavo Conte di Modica ed ultimo
discendente della più nobile famiglia siciliana, fu decapitato
il 1° giugno 1392 davanti lo Steri, che dal 1446 divenne la reggia
di Re Martino I° e dal 1601 al 1782 ospiterà il Santo Ufficio
dell'Inquisizione.
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55 - Interno
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Chiesa
del Carmelo
Fu edificata assieme al convento, di cui si mantiene la struttura,
trasformata all'interno in abitazione civile, e parte del chiostro,
sul sito di un preesistente chiesino, dal titolo di San Pietro, Principe
degli Apostoli, sul finire del XV secolo, presumibilmente nel 1478,
anno in cui i Carmelitani giunsero a Naro, per opera del MRR Padre
Girolamo Guagliardo da Naro, grazie alla concessione del terreno da
parte dei giurati di Naro, con atto di concessione datato 9 Novembre
1478, conservato in Municipio, ed alla donazione di 200 scudi fatta
dal Re Filippo II, il Cattolico, a ridosso delle mura, la cui posizione
è dominante rispetto al territorio vastissimo a sud.
Tale posizione felice garantisce, inoltre, il controllo della campagna
sottostante e rappresenta un passaggio obbligato per la presenza della
Porta Annunziata e si proietta su un piano di futura espansione fuori
le mura, che si attuerà in quella direzione alla fine del XVI
secolo.
Il convento, in cui dimoravano trenta religiosi, era detto anche delle
giummarre, perché nel giardinetto, all'interno dello stesso,
esisteva vicino ad uno specchio d'acqua un piede di palma silvestre,
cioè giummarra (a). Fu ristrutturato nel 500', nel 600', nel
1764, (la costruzione del Coro), nel 1772, quando fu demolito l'atrio
d'innanzi l'entrata, e nel 1815, quando era Priore P. Alberto Formica,
ad opera dei Maestri Giuseppe Alaimo ed Onofrio Miano e del perito
intagliatore Mario Principato.
La torre campanaria è stata rifatta nei primi del sec. XIX,
mentre l'altare Maggiore fu decorato dal Maestro Stefano Rugiano e
stuccato da Francesco Santalucia, come attesta Fra Salvatore.
Il semplice portale in pietra viva, unico elemento di rilievo del
prospetto, risale al 1612 (foto 56).
L'interno, con riminiscenze tardo-cinquecentesche, ad impianto longitudinale
ad aula unica, senza transetto, con abside quadrangolare (forse antica
torre di preguardia) con cappelle laterali e nicchie ricavate nello
spessore dei muri perimetrali, mostra alcune notevoli statue lignee,
tra cui il Profeta Sant'Elia, che calpesta la testa della regina Gezabele,
del palermitano Nicolò Bagnasco, la Madonna del Carmelo con
il Bambino e San Domenico del sec. XVIII (foto 57), che si riallaccia
alla tarda scuola gaginesca e San Giuseppe con il Bambino, scultura
settecentesca, in gesso, di gusto rococò ed, altresì,
il dipinto di San Domenico in gloria del 1780 di Domenico Provenzani,
Tabernacolo con il Cristo morto, dipinto attribuibile a Fra Felice
da Sambuca, olio su tela del sec. XVIII e L'Addolorata, olio su tela
ovale del sec. XVIII.
In sagrestia armadi scolpiti dal Maestro Francesco Vaccaro da Naro
e dall'agrigentino Rocco Cardellicchia, un'artistica porta in ferro
battuto del sec.XVII ed un tronetto in legno dorato delsec.XVIII,
una volta! (b).
a) Fra Saverio Cappuccino,op.cit.p.270 e ss.
b) Idem
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56 - Gruppo della Madonna del Carmelo
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57 - Prospetto
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Il
Calvario
Un Calvario fu fatto erigere nel 1619 per volontà di P. Gaspare
Paraninfo, della compagnia di Gesù, con il generoso contributo
di Don Ottavio Specchi, Cavaliere di Malta, Don Giovanni Tropia e
Don Lorenzo Piaggia e di tutto il popolo narese, fuori le mura, nel
luogo ove si può ammirare ancora oggi (a).
Ristrutturato varie volte nel corso dei secoli, nel 1925 venne ricostruito
per opera del Comm. Giovanni Filì ed, ancora restaurato, dalla
di lui moglie, Ignazia Dispinseri nel 1960, quando fece costruire
anche la grande Croce in legno e la ringhiera in ferro battuto, opera
egregia di Ferdinando Rizzuto, esperto artigiano locale (b).
Il monumentale calvario si presenta oggi come uno dei più completi
ed armoniosi nella struttura della diocesi (foto 58).
Nel 1630 il Vicario Generale, Don Antonino Bichetta, concesse alla
chiesa di Sant'Antonio Abate, i cui ruderi si possono ancora ammirare
vicino al Vecchio duomo, di solennizzare il Sepolcro il Giovedì
Santo.
E da allora il Calvario, durante la settimana Santa, resta il luogo
di pellegrinaggio e di preghiera da parte dei fedeli.
Da parecchi anni il giorno del Venerdì Santo, diventa il sito
della sacra liturgia della Scinnenza Cruci, rappresentata con personaggi
in costume.
Il complesso monumentale si presenta in stile baroccheggiante, con
due scale aggettanti in ferro che si intrecciano fino ad arrivare
alla base della grande croce centrale, racchiusa da una piccola recinzione
in ferro, con accanto, fra due alberi di cipressi, le altre due croci,
poste ognuna su un grande piedistallo.
Al piano terra vi è una cappelletta, dove la notte del Giovedì
Santo viene vegliato, per tutta la notte, il simulacro del Cristo
morto, dai confrati del SS. Crocifisso, con nenie e canti di dolore,
chiamati lamienti (una volta!).
Il sepolcro è racchiuso da alte mura con cancello in ferro,
mentre tutto l'organismo monumentale è circondato da ringhiera
in ferro chiusa da un grande cancello.
a) Cfr. Fra Saverio
Cappuccino, op. cit
b) Francesca Marsala, La Città di Naro, Agrigento 1973, pag.
57-58
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Foto
58
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Le
Catacombe
Sono disseminate in varie zone vicino l'abitato: in contrada Canale,
Coperta, Donnaligara, Rio e Val Paradiso, Fontana di Rose, Muggiarra,
formando un complesso catacombale che potrebbe costituire un primo
nucleo di parco archeologico.
In seguito ad opere di scavo vennero alla luce dei sepolcri incavati
nella roccia, dotati di vasi attribuiti all'età greco-sicula.
Da un esame attento è stato stabilito che le scavature ed i
vasi si succedono in una disposizione diacronica. Differendo da sepolcro
a sepolcro, infatti, è stato ritenuto che la loro realizzazione
era da collocare tra l'età della pietra e la colonizzazione
greca attraverso l'età del bronzo e del ferro (a).
Nella contrada Coperta, si possono rintracciare resti di un centro
urbano con materiale dal IV al V secolo a.C.
In contrada Paradiso si potrebbe celare, secondo alcuni studiosi,
una zona archeologica di grande importanza.
Disseminati sul terreno si possono notare frammenti di ceramica, blocchi
di pietra squadrati databile dal IV al II sec. a.C., resti forse di
un impianto di età romana imperiale.
Nella contrada Rio alcune tombe sono andate perdute, resta qualcuna
in pessime condizioni.
Un'altra chiamata l'Ammirabile è andata distrutta durante i
lavori del troncone ferroviario Naro-Canicattì nel 1906.
Il gruppo più importante e meglio conservato è quello
delle catacombe esistenti nel costone meridionale, in contrada Canale
(b).
Questo gruppo è caratterizzato da un lungo corridoio centrale
con ingresso da Sud, preceduto da dromos, lungo le pareti si aprono
nicchie, in cui sono collocate le sepolture.
La più grande (ipogeo A) è conosciuta da sempre con
il nome di Grotta delle Meraviglie (foto 59), esplorata dal francese
Houel (1782), da due studiosi tedeschi J.Fuehrer e V.Schultze (1872),
dal Cavallari (1879),dal Salinas (1896), fino ai naresi Domenico Riolo
(1897) e Salvatore Pitruzzella (1938). Essa è preceduta da
un lungo dromos, che si allarga in un'area semicircolare,alla quale
si accede mediante un ingresso aperto nella parete del dromos. L'ipogeo
"B" è contiguo al gruppo "A", con il quale
comunica mediante un'apertura nella parete del dromos. L'ipogeo "C"
conserva l'arco d'ingresso, con corridoio centrale,ai cui lati si
aprono diverse nicchie con camere ipogeiche ed arcosoli a letto singolo
e bisomi (foto 60).
Conserva diverse sepolture, ancora intatte, con lastre di copertura
(foto 59). L'ipogeo "D" si trova poco distante dagli altri.
È in pessime condizioni per diversi crolli. La datazione è
del IV-V sec. a.C. Tutta la zona Canale, scavata ed esplorata in maniera
sistematica, potrebbe rilevare altre catacombe, che potrebbero nel
complesso costituire un grande parco archeologico, davvero interessante.
Dal punto di vista artistico la necropoli è poco importante,
mentre dal lato storico attesta che Naro già esisteva all'epoca
cristiana ed il culto di Cristo pare che debba rimontare all'anno
50 dell'era volgare ai tempi di San Libertino, vescovo di Agrigento,
mandato in Sicilia con Pancrazio, Filippo e Berillo, dal Principe
degli Apostoli, a divulgare la fede di Gesù Cristo. È
evidente che dalla dominazione romana alla conquista bizantina, Naro,
da Statio per il ristoro di uomini e di cavalli, divenne un fiorente
villaggio, con un numero di abitanti alquanto elevato, se si vuol
considerare come testimonianza questo vasto cimitero paleocristiano
di contrada Canale.
Ed ancora, numerose tombe nelle aree Serra Furore, Castellaccio, Siritino,
Deli, (foto 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67).
Nella contrada Noce, dove alle sepolture dell'età del bronzo
si aggiungono tombe paleocristiane, nella contrada Poggio Bisacce,
dove resti di tegoloni attestano nel sito la presenza greca. Ed, altresì,
al periodo ellenistico-romano pare che debba essere riferita la struttura
di una villa, scoperta in circostanze fortuite lungo la strada costruita
sulla vecchia linea ferrata a sud di Naro, vasto complesso che ancora
oggi attende di essere scavato (c).
a) Cfr. Raccolta di antichità agrigentine, di
A. Cristoforo Andreazzi, Roma 1798, tav.XXXIII, pag.20;
b) Mariano Armellini, Gli antichi cimiteri cristiani di Roma e d'Italia,
Roma 1893, pag.735;
c) E. De Miro, in atti della tavola rotonda..etc. op., cit., pag.123
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59 - Ingresso
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Le
mura e le porte urbane
Naro,come tutti i comuni del periodo medievale, era chiuso da una
cinta di solide mura merlate, la cui costruzione si fa risalire al
1263. Furono rafforzate nel 1482 e delimitavano un'area pressoché
romboidale.
Nel suo perimetro erano valide opere di difesa militare, la torre
della collegiata (Duomo), la torre di San Secondo, la torre della
Fenice (in corrispondenza dell'odierna Via Madonna della Rocca) e
la Torretta.
L'unico reperto ben visibile delle mura è la porta Vecchia
(foto 68 e 68 bis), che testimonia il sistema costruttivo realizzato
in pietra con arco ogivale ed eleganti merlature.
La cinta muraria, di cui il tracciato originale c'è dato da
un dipinto del XIV secolo, conservato nel Santuario di san Calogero,
era controllato da sette Porte, simili alla Porta Vecchia.
Le porte d'accesso alla Città nella parte alta erano: Porta
della Fenice, Porta San Giorgio (nei pressi del castello), Porta Vecchia
(nell'odierna via omonima) o Porta d'Oro, per il colore delle monete
circolanti nel vicino ghetto degli Ebrei e per il frumento che ne
entrava e che proveniva dalle ricche terre sottostanti, attraverso
la reggia trazzera dei Molini, che metteva in comunicazione Naro e
la parte nord-orientale della Comarca.
Molto importanti sono le porte della zona bassa, perché ognuna
immetteva da una parte verso la campagna circostante, tramite trazzere
e dall'altra immettevano in veri e propri assi stradali.
La porta Sant'Agostino, ex Porta Palermo, ad Ovest, che mutò
nome dopo l'erezione del Convento agostiniano, che segna l'imbocco
della Via Laudicina, con in fondo il convento dei frati agostiniani,
a sud la Porta Girgenti all'inizio della via Lucchesi in asse con
il castello ed il duomo; Porta Trinità, che nel 1480 muta il
nome in porta Annunziata per l'erezione del nuovo convento e della
Chiesa del Carmelo, all'inizio della via Specchi e la Porta Licata,
aperta nel 1377 per volere di Matteo Chiaramonte, segna l'inizio di
quello che dal seicento in poi diventerà l'asse stradale più
importante di Naro, cioè la via Maestra e dei Monasteri, l'odierna
via Dante Alighieri.
Fino al 1810, nel giorno dell'Ascensione, una singolare processione,
che aveva inizio dalla Chiesa della Madonna della Rocca, percorreva
la cinta muraria per la benedizione delle mura (a).
a) Fra
Saverio Cappuccino, op., cit.
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Foto
68 bis
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Palazzo
Malfitano e Museo della Grafica
Le strutture originarie di quest'antico Palazzo Malfitano, dei Signori
di Giacchetto, risalgono al secolo XV. Con l'annesso ex ospedale di
San Rocco (in seguito chiamato Umberto I) costituisce un vasto quadrilatero
ricadente tra la Via Piave (una volta via Mazziotta Lauricella), Malfitano,
Lucchesi e Vitt. Emanuele (una volta via Martorelli, delib. C.C. n.
18 dell'11.05.1861), sul quale ricade il prospetto principale.
Esso costituisce un esempio illustre dell'architettura civile della
Città di Naro.
Il Palazzo fu donato da Donna Antonia Notarbartolo, marchesa di Malfitano
e discendente dei Giacchetti, dopo che i Minori Conventuali elevarono
l'attuale chiesa di San Francesco, che toglieva al palazzo la visuale
del mare e della vallata, alla città per alloggiarvi delle
religiose che dovevano educare le fanciulle d'ogni ceto nella fede
ed in ogni genere di lavoro femminile.
Nel 1749 l'impegno fu assunto dalle suore del Collegio di Maria, ordine
istituito dal Cardinale Corradini a Sezze, che ebbe molta diffusione
in Sicilia.
Così divenne Collegio di Maria, per opera di Mons. Lorenzo
Gioeni, Vescovo di Agrigento(a).
Dichiarato monumento nazionale, il palazzo comprendeva anche la chiesa
di San Rocco, con l'annesso ex ospedale, fondato nel 1544 per opera
di Mazziotta Lauricella, dei Signori di Giacchetto, per la cura dei
pellegrini ed ammalati poveri, dotandolo di ricche prebende.
Era amministrato da quattro rettori laici ed era sede di un'arciconfraternita
d'artigiani e di sacerdoti, con il titolo di S. Maria degli agonizzanti,
con lo scopo di badare al seppellimento dei defunti poveri dell'ospedale
ed alla ricerca dei cadaveri d'indigenti, che si rinvenivano per strada.
Ristrutturato varie volte, nel 1676 (tetto di tavole), nel 1772 (doppia
scala con passamano di ferro), nel 1776 (da Francesco Santalucia)
e nel 1793 (da D. Giuseppe Vaccaro).
Era famoso sia per la ricchezza dell'edificio, sia per la bravura
di molti medici e chirurghi, che vi prestavano la loro opera gratuitamente(b).
Tutto il fabbricato risente dell'influsso spagnolo, definito catalano,
per lo stile e la varietà delle soluzioni spaziali, costruttive
e decorative.
Presenta elementi architettonici della migliore tradizione costruttiva
siciliana, nel portale a piano obliquo, nel basamento esterno, nell'apertura
incrinata e nel contrafforte angolare.
Di notevole interesse una magnifica finestra angolare con piattabanda,
molto rara per la difficile condizione di staticità cui è
sottoposta, vera genialità d'arte e di tecnica costruttiva,
conservatasi benissimo durante tanti secoli.
La sottile colonnina è puramente ornamentale. Il frontone,
molto pesante, si regge da se, mediante un ingegnoso sistema d'archi
interni, connessi fra loro in modo tale che la risultante della forza
centrale è non solo equilibrata, ma superata dalla risultante
della forza laterale (c).
Il collegio fu chiuso nel 1914 per mancanza di fondi e l'ultima moniale,
suor Crocifissa, fu ospitata dalle Suore dell'Istituto Immacolata
Concezione.
Fu adibito, quindi, a pretura, a scuola ed a civile abitazione. Nel
1963 fu riaperto da suor Felicita, ma, causa alcuni locali pericolanti,
alcuni anni dopo fu definitivamente chiuso.
Recentemente è stato restaurato per destinarlo ad attrezzatura
Polivalente (Museo della grafica, del libro antico, del costume, etno-antropologico,
etc.), di cui già una sezione,quella della Grafica, è
stata inaugurata l'11 giugno 2000, con vivo successo di critica e
di pubblico.
Il Museo dell'arte grafica di Naro (foto 69), voluto fortemente dal
Maestro Bruno Caruso, dal Sindaco Dr. Giuseppe Morello e dal Prof.
Giuseppe Camilleri è un importante evento culturale ed una
validissima realtà strutturale per altre lodevoli iniziative.
Il Polo museale nato in un piccolo centro della Sicilia, assume rilevanza
anche a livello nazionale perché viene organizzato e gestito,
per la prima volta, da un'Ente locale. La stessa struttura, collocata
nel cuore del centro storico, si pone come richiamo per turisti e
visitatori.
Consta di una donazione di oltre 244 opere provenienti per la maggior
parte dallo stesso Maestro Bruno Caruso (foto 70), (di cui 24 dello
stesso Maestro), che costituisce il nucleo originale della prestigiosa
raccolta, sia dalle successive acquisizioni di donazioni di altri
insigni artisti, galleristi e collezionisti.
Le opere catalogate risultano così rappresentate: 121 acqueforti,
7 punte secche, 10 acquetinte, 85 litografie, 8 serigrafie, 4 xilografie.
A queste opere si aggiungono 9 tavole originali di incisori dal 600
all'800: Ulisse Aldovrandi (4), Rembrandt (1), Bartolomeo Pinelli
(1), Hondius (1), Goya (1), Dorè (1), che rendono il museo
ancora più interessante (d).
a) Cfr.
Archivio della Curia Vescovile, atti dei Vescovi, f. 682;
b) Maria Riolo Cutaja, op. cit. pag. 76;
c) S. Pitruzzella, op. cit. pag. 96/97;
d) Cfr. Città di Naro - Museo della Grafica: segni grafici
a Naro dal '600 ad oggi, CL.2000
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Foto
69 - Interno
Foto
70 - B. Caruso: Calice con corallo
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