Città di Naro

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Itinerario Barocco

Naro ha conosciuto il suo massimo splendore durante il XVII secolo, periodo corrispondente alla diffusione dell’arte barocca, corrente artistica nata in conseguenza della politica della Controriforma Cattolica. In questo periodo la città si arricchisce di notevoli monumenti, alla cui costruzione hanno lavorato artisti con un notevole genio creativo.

Il percorso barocco prevede la visita:

  • chiesa del SS. Salvatore
  • chiesa di San Niccolò di Bari
  • chiesa Madre e l’ex collegio dei Gesuiti
  • chiesa di Sant’Agostino
  • chiesa e all’ex convento di San Francesco
  • chiesa di San Calogero

La prima tappa

Proseguendo lungo la Via Dante, ci troviamo dinnanzi alla nostra prima fermata; la chiesa del SS. Salvatore, a cui era annesso un tempo il Monastero delle Benedettine, il quale è stato abbattuto per costruire un anacronistico edificio scolastico.

La chiesa è stata eretta per volontà del Re Martino il Giovane nel 1398 durante il suo soggiorno a Naro con la Regina Maria.

L’avvento dell’epoca barocca vide la totale trasformazione della chiesa. La facciata fu rinnovata solo nel suo ordine inferiore (mentre quello superiore è rimasto allo stato rustico), la quale è stata arricchita con ricchi intagli di tufo color giallino, dandole un aspetto tipicamente spagnolesco.

Cinque paraste (semipilastri addossati a pareti con funzioni di sostegno) suddividono gli spazi della facciata, due dei quali si dispongono ai lati del portale; in due nicchie (cavità, spesso a forma di semicilindro, ricavata nello spessore di un muro) profonde si dispongono le statue di San Benedetto e di Santa Scolastica. Di fianco, troviamo il campanile costruito nel 1750, rimasto incompleto.

L’interno è composta da una navata unica e da un pronao (atrio) d’accesso. Un tempo, la chiesa era adornata da una bellissima volta affrescata da Domenico Provenzani. Oggi, purtroppo, è possibile vedere solo l’ombra del suo passato splendore.

Tra l’ingresso e la porta, vi è il sarcofago di Giuseppe Lucchesi, marchese di Delia e accanto quello di Assuero Lucchesi, l’ultimo duca di Alagona.

La seconda tappa

Continuando il cammino lungo la Via Dante, arriviamo alla nostra seconda fermata: la chiesa di San Nicolò di Bari. La chiesa fu edificata nel 1618 da don Vincenzo Lucchesi con il nome di San Giuseppe; successivamente fu trasformato in monastero da donna Diodata la Lucchese, ospitando le monache di nobile casato. Nel 1765 fu eretta a parrocchia e dedicata a San Nicolò di Bari, vescovo di Mira.

La facciata è ornata da motivi manieristici, espressione del primo barocco siciliano. Sopra il portale d’ingresso, è da ammirare l’Annunciazione sull’architrave.

La quarta tappa

In Piazza P. Favara c’è la quarta fermata del nostro viaggio nell’epoca barocca: la chiesa di Sant’Agostino.

Alcuni storici credono che la fondazione della chiesa risale alla venuta degli eremiti agostiniani, i quali arrivarono

in Sicilia per sfuggire alla violenza dei Vandali in Africa nel 493. Essi si rifugiarono sul colle Romito (a nord-ovest da Naro) dove costruirono un convento in cui vissero fino all’occupazione araba. Nel 1117 i monaci se ne andarono dal colle Romito e si trasferirono in un luogo più vicino alla città (l’attuale Piazza P. Favara) dove fondarono un piccolo convento nel 1254. Gli elementi architettonici del convento risalenti al periodo gotico sopravissuti fino ad oggi sono: delle finestre cieche e un portale della sagrestia. Dopo vari restauri al convento, nel 1707 iniziarono i lavori della costruzione della nuova chiesa (il quale inglobò la sua antica struttura), completata e benedetta dal priore Ludovico La Lomia.

L’edificio ha una pianta a croce latina. Il suo interno è articolato in tre navate delimitate da due file di colonne; l’intersecazione con il transetto da luogo ad un’ampia cupola. L’interno è arricchito dalle opere del Provenzani, ossia sei pale d’altare; da un crocifisso ligneo d’autore ignoto del 1535 situato sul quarto altare a sinistra e da un fonte battesimale dal ‘400. Opera di un artigiano locale sono invece il coro in noce lavorato e il pulpito in legno scolpito. Inoltre, la chiesa presenta al suo interno, i sarcofagi funerari di Francesco Alacchi, noto giureconsulto, e del notaio Lorenzo Favara nell’antisagrestia. Sottostante la chiesa vi è una cripta che era adibita alla sepoltura dei monaci agostiniani.

La sesta tappa

Siamo arrivati in Piazza Roma, alla nostra ultima fermata: la chiesa di San Calogero.

San Calogero è il santo patrono della città, egli è venuto da Cartagine per sfuggire alle invasioni barbariche ed è considerato il guaritore delle anime e dei corpi. La chiesa è stata edificata sulla cripta dove viveva il santo eremita.

La strada che dal Santuario conduceva a Porta Licata (l’odierna piazza Cavour) fu costruita nel 1750 per opera del guardiano del convento di San Calogero, padre Agozzino da Malta, il quale si occupò perfino della collocazione degli alberi ai lati della strada. La strada fu denominata Viale San Calogero, ma successivamente assunse il nome di Viale Umberto.

La costruzione della chiesa risale al 1599. La sua facciata ha un aspetto barocco anche se è stata ripresa più volte; l’ultimo rinnovo risale al 1954.

L’interno è articolata da una sola navata; le pareti raffigurano San Francesco, la Pietà e San Lorenzo Giustiniani. Sul lato destro della navata, vi è una piccola scalinata che dà accesso ad una chiesa sottostante che custodisce la statua di San Calogero. La statua è stata realizzata da F. Frazzatta nel 1556, alla cui morte fu completata dalla figlia. La statua raffigura il santo che tiene con il braccio sinistro una scatola d’argento che contiene le sue reliquie, ossia un osso omerale. Oltre alla statua, nella chiesa sotterranea, vi è la grotta (opportunamente protetta da sbarre) dove viveva il santo.

testo a cura di L. Universo

La terza tappa

Poco più avanti, sempre in Via Dante, vi è la nostra terza tappa: la chiesa Madre e il Collegio dei Gesuiti, entrambi costruite tra 1610 e 1619 ca. per opera di padre Gaspare Paraninfo della Compagnia di Gesù.

In conseguenza del ‹‹Patto di Famiglia›› stipulato nel 1764 tra le famiglie regnanti dei Borboni di Francia, Spagna, Napoli e Parma, nel 1767 vi fu la prima espulsione dei Gesuiti dalla Sicilia; nel 1785 il collegio fu dato alle benedettine della SS. Annunziata per poi ritornare alla cura dei Gesuiti. L’impresa dei Mille testimoniò la soppressione delle corporazioni religiose, e quindi la seconda espulsione dei Gesuiti; per ciò e anche per la chiusura al culto del vecchio duomo Normanno, la chiesa di Gesù fu affidata al clero regolare, elevandosi alla dignità di chiesa Madre.

Ciò che rimane oggi del vecchio collegio gesuita è un portale d’ingresso che da accesso alla parte rimanente del chiostro, a sua volta adiacente alla chiesa.

La facciata della chiesa è stata più volte alterata; il suo completamento ha avuto luogo agli inizi del ‘900.L’interno è articolato in tre navate longitudinali intersecate da un transetto (braccio che interseca quello longitudinale), che dà luogo ad una falsa cupola.

Vicino all’ingresso, proveniente dal vecchio duomo, vi è la fonte battesimale (1424) in stile tardo gotico, l’autore è Nardo di Crepanzano; su essa è riprodotta la scena del battesimo e i dodici apostoli. La Sagrestia contiene un ampio armadio ligneo del 1725 (proveniente dal vecchio duomo), arricchito da statuine poste all’interno di nicchie e da colonne tortili. Esso fu realizzato da due artigiani di Agrigento: Gabriele Terranova e Giuseppe Cardilicchia.

Collocato sul terzo altare a sinistra vi è la tela dell’Annunciazione (1780) del Provenzani (foto a sinistra) portato dalla chiesa di SS. Salvatore, e a sua volta proveniente dal Monastero della SS. Annunziata.

La quinta tappa

La nostra penultima tappa ci vede in Piazza Garibaldi dinnanzi alla chiesa e l’ex convento di San Francesco.

La struttura originale della chiesa fu costruita nel XIII secolo e dopo essere stato ripreso più volte nei secoli, nel 1635 fu edificata la sua struttura attuale. La facciata, ricca di elementi decorativi manieristici e spagnoleschi (nicchie, cariatidi, sculture, mascheroni ecc...), risale al XII secolo. L’interno è caratterizzato da una sola navata, sovrastata da un’ampia volta a botte affrescata da Domenico Provenzani. Inoltre, la chiesa conserva al suo interno tele di Vito D’Anna (1718-1769), di fra’ Felice di Sambuca (1734-1805) raffiguranti San Francesco, e di Eugenio Ragalbuto situati ai lati dell’ingresso, rappresentanti La buona Morte e La cattiva Morte. Nella sagrestia vi è un lavabo di marmo nero che riprende la scena di San Francesco che riceve le stigmate e anche dei bellissimi armadi lignei raffiguranti scene della Via Crucis, realizzati da un artigiano locale.

Accanto alla chiesa vi è l’ex convento. Con la soppressione delle corporazione religiose nel 1866, i frati francescani furono espulsi e il convento fu trasformato nella sede del Municipio della città; altri locali invece sono occupati dalla Biblioteca Feliciana. Appartenente all’ex convento era pure il chiostro settecentesco dell’attuale sede del Municipio; essa è delimitata da una fila di colonne che danno luogo a 16 arcate.